ABBIATEGRASSO – Maria Pia Trevisan ha scritto diversi libri, l’abbiamo di recente intervistata per presentare l’ultimo uscito, “Le radici del caprifoglio”, ma ricordiamo “L’operaia che amava la sua fabbrica”, e la fabbrica era la Mivar dove era anche sindacalista. Portavoce dei lavoratori, di centinaia di donne che chiedevano innanzitutto un contratto equo. Il sindacato Fiom dei metalmeccanici Cgil, a 50 anni da quella stagione di lotte, ricordata come “autunno caldo”, le ha chiesto una testimonianza, una troupe è venuta a filmarla a casa e il filmato è stato trasmesso giovedì scorso. Chiediamo a Maria Pia di raccontare anche questa sua esperienza. Risponde: “Giovedì 5 dicembre 2019 presso la Sala ‘Di Vittorio’ della Camera del Lavoro di Corso di Porta Vittoria a Milano ho assistito alla proiezione del documentario a cui anch’io ho dato un piccolo contributo: ‘1969 L’autunno dei desideri’ realizzato da Antonio Pacor e Bettina Gozzano e voluto dalla Fiom Cgil di Milano. La presenza di alcune classi di studenti liceali accompagnati dai loro insegnanti e di rappresentanti del movimento ‘Fridays for future’ attentissimi, interessati a comprendere meglio attraverso le immagini delle grandi mobilitazioni operaie e le voci di alcuni dei protagonisti di quel periodo storico straordinario e complesso, devo confessare che mi ha emozionata, mentre le loro domande e i loro interventi hanno indotto anche me a riflettere sul nostro passato, sul nostro presente e sul nostro futuro. Provo a sintetizzare: sul nostro passato, quando il lavoro, nella mia ancora ingenua concezione di quindicenne, era semplicemente un mezzo per guadagnarsi da vivere e la sua organizzazione era di stretta competenza dei padroni che ne determinavano gerarchie, ruoli, professionalità, processi produttivi, privilegi e ingiustizie. Più o meno come accade oggi? Sul passaggio successivo che ha visto la mia generazione protagonista di un cambiamento sociale importante, che amplificò a dismisura i significati che fino ad allora avevo attribuito alla parola ‘Lavoro’. I risultati ottenuti attraverso quella stagione di rinnovi contrattuali che venne definita ‘autunno caldo’ in sostanza, riconoscevano anche al lavoro operaio l’importanza che meritava, e alle lavoratrici e lavoratori il riconoscimento delle norme sulla dignità e sulle libertà contenute nella Costituzione Italiana. La Costituzione entrava in fabbrica. Seguirono I terribili anni di piombo,quelli della repressione, della strategia della tensione delle stragi e del terrorismo che si preannunciarono con la strage compiuta alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana e si protrassero per tutti gli anni ’70 e oltre… Vorrei ricordare che tra le diciassette vittime, alle quali dedico un pensiero pietoso e un fiore, ci fu anche un cittadino di Abbiategrasso: Angelo Scaglia. Devo dire che in quegli anni ero orgogliosa di appartenere a quella classe operaia considerata da più parti baluardo della democrazia e lo sono ancora oggi, anche perché sono convinta che noi, operaie e operai eravamo dalla parte della ragione. Lo eravamo quando reclamavamo il rispetto della nostra dignità di persone, quando volevamo affermare la parità di diritti fra uomini e donne, quando reclamavamo sicurezza e salute in fabbrica, quando a fronte dell’evoluzione della scienza, e della tecnica chiedevamo riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, e soprattutto lo eravamo perché avevamo una fame arretrata di diritti da soddisfare. Lo eravamo quando volevamo cambiare il mondo. Sul presente, a mezzo secolo di distanza da quella stagione che rappresentò lo spartiacque tra un prima e un dopo, lo sguardo della generazione che lo ha attraversato, non può essere certamente uguale allo sguardo delle giovani generazioni che ne ascoltano il racconto. E’ in ogni caso uno sguardo di critica, ma anche di speranza che mi sembra di avvertire oggi intorno a noi. Una speranza che però va accompagnata con una assunzione di responsabilità e di impegno diretto. Una bella sfida direi per i giovani che vivono oggi in un contesto globalizzato un po’ più complicato di quello di ieri. La nostra ambizione e la nostra presunzione di voler trasmettere loro questo nostro pezzo di storia significativa di un periodo storico, forse irripetibile, assume il valore di vicinanza a chi vorrà di nuovo cambiare il mondo dentro le grandi utopie del rispetto della dignità della persona umana e della solidarietà tra i popoli che si esprimono anche attraverso il lavoro che dovrà, però, essere fortemente ecocompatibile. Proprio come ci stanno dicendo loro, i giovani di oggi”. E.G.
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