ABBIATEGRASSO – Fotografo e grande viaggiatore, Claudio Tirelli è presidente dell’associazione culturale “Obiettivo sul Mondo” che, grazie all’obbiettivo della sua macchina fotografica, da 30 anni produce mostre che sono state ospitate anche in Parlamento. Quest’ultima racconta molto di 3 nazioni dell’Asia, Afghanistan, Pakistan e Iran, al centro dell’attenzione mondiale: i volti, l’abbigliamento, gli atteggiamenti, l’interno delle case e la natura intorno, abitudini, tradizioni millenarie, modi di vivere diversi e rivelatori di realtà con cui confrontarci. L’Eco della città ha proposto in diretta sulla sua pagina Fb un ‘assaggio’ della mostra, con un video commentato con l’autore che fa affiorare atmosfere e ricordi del momento in cui ha scattato le fotografie. “Ogni foto ha una storia dietro che racconto con piacere ai visitatori – afferma Tirelli – Sono 3 Paesi distinti, terre difficili per vari motivi, bellici innanzitutto, luoghi dove il turismo non arriva perché occorrono permessi speciali, dove permangono costumi e tradizioni antiche e destinate a scomparire. Il primo impatto per tutti è la condizione femminile in Afghanistan, rappresentata dalle donne col burqa, le foto risalgono al 2019, quando tutte le donne nelle grandi città lo portavano, nelle zone tribali invece non erano obbligate. La prima immagine è di 2 donne completamente coperte, sul greto di un fiume bianco di calcare, le ragazze con grande garbo hanno chiesto di denunciare la loro condizione che ora è diventata addirittura drammatica. Le donne si fanno fotografare solo lontano dagli sguardi degli uomini, a volte sollevano il burqa. Una bella immagine di una giovane coppia in moto, in cui il ragazzo ha permesso alla ragazza di mostrare il viso, illuminato da un gioioso sorriso. Paesaggi straordinari in cui le merci vengono trasportate a dorso di mulo e con asini, ci vogliono giorni per spostarsi da una valle all’altra. Si arriva fino ad un certo punto in jeep, ma poi si prosegue a piedi e ci si ferma in alloggi di fortuna…”. Alte montagne, ghiacciai, ragazzi che pascolano animali e sullo sfondo una moschea ismaelita, mentre il resto dell’Afghanistan è sunnita. Negli interni l’unica luce arriva da un’apertura nel soffitto, fasci di luce illuminano case essenziali in cui l’unica cosa a disposizione e che viene offerta è il the. Ritratti meravigliosi, lineamenti anche occidentali mescolati a incarnati olivastri, a occhi allungati o tondi, a copricapi di varie fogge. Sguardi serafici in Pakistan, dove vive la popolazione Wakhi, zoroastriana in origine e ora convertita all’Islam, l’immagine poetica di una ragazza mentre coglie fiori che si scopre essere in realtà erbe maligne da estirpare. Segue il tipico mezzo di trasporto superaffollato e iperdecorato da ninnoli scaramantici, donne ancora con il burqa e un’infilata di ritratti, dal benzinaio orgoglioso del suo lavoro al magazzino di stoffe coloratissime. Il colore è protagonista per questa popolazione che, al contrario di tutti i Pakistani sanniti, è ancora animista e crede nella spiritualità della natura, con costumi diversissimi tollerati a mala pena dai musulmani poiché hanno carnagione chiara, donne e uomini danzano insieme, coltivano l’uva, bevono vino, un’anomalia nel cuore del Pakistan. Un tripudio di colori, poi la foto incredibile del Buzkashi, un antico gioco si dice inventato da Gengis Khan, praticato ancora nelle valli del centro Asia, il nome significa ‘acchiappa la capra’, una carcassa viene contesa da 2 squadre e vale tutto per conquistarla. Nella sala dedicata all’Iran, Paese dalla cultura straordinaria, tra le immagini una ghiacciaia di parecchi secoli con una presenza umana che dà la dimensione del monumento, poi antichi mulini a vento ora in restauro, in un luogo dove il vento soffia anche a 150 all’ora per 2 mesi, in cui in quest’opera geniale veniva macinato il raccolto di un anno. La preghiera nella luce magica di una moschea, seguono ‘occhi che parlano’, i colori sgargianti di una ragazza con fucile per proteggere il gregge dai lupi. Uomini diversamente abbigliati, volti in cui si intravede l’anima,una donna che alza l’hijab, il velo tradizionale e altre donne al confine con il mare dell’Oman che portano la maschera, donne Bandari, arabe. Queste e altre minoranze etniche, l’abito è la loro carta d’identità, indica l’appartenenza. L’ultima foto è un villaggio incredibile, dove i tetti delle case sottostanti sono le strade e le piazze di chi abita sopra. Una mostra le cui immagini resteranno impresse nella memoria, i colori, la bellezza dei luoghi, un’umanità diversa, che grazie a Claudio Tirelli sentiamo vicina e che non possiamo che amare. Fino al 28/11, 15.30-19.30 – festivi 10-12/15-19.30. Enrica Galeazzi
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