ROBECCO S/N – Un fatto che ha dello straordinario e che merita di essere raccontato per il messaggio che vuole diffondere attraverso la stampa chi lo ha vissuto. La sera di sabato 3 giugno, quasi in contemporanea, due eventi hanno suscitato paura e terrore. L’attentato terroristico nei pressi del London Bridge nella capitale inglese e il falso allarme bomba in piazza San Carlo a Torino. In quel momento a Robecco sul Naviglio una mamma era in ansia, col cuore in gola perché uno dei suoi tre figli, F.M., era proprio in piazza San Carlo a vedere la finale di Champions, mentre la figlia, M.M., si trovava a Londra, a pochi metri dal luogo dove un furgone si è schiantato sul marciapiede investendo diverse persone e dove altre sono state accoltellate dai terroristi. A raccontarci questi attimi di paura e incredulità, il marito di M.M., che si trovava con la moglie a Londra a festeggiare il suo compleanno. B.D.: “In quel momento stavamo passeggiando in direzione del London Bridge, che ci eravamo lasciati come ultima tappa del giorno prima della partenza… Ero al telefono proprio con mio cognato che si trovava a Torino e diceva di essere scappato, in un fuggi fuggi generale, caotico e pericoloso, dove centinaia e centinaia di persone (un numero ben superiore a quello che poi è stato comunicato dai notiziari) sono state calpestate da una folla impazzita. La cosa incredibile è che, appena chiudo la conversazione con lui, vediamo gente scappare nella direzione opposta in cui ci dirigevamo io e mia moglie… Vediamo sfrecciare ambulanze e polizia, inizialmente pensiamo ad un incidente, non sappiamo cosa stia accadendo. Ma poi le sirene aumentano e le forze dell’ordine arrivano a frotte, la gente continua a fuggire e anche noi ci allontaniamo, andando nella direzione del nostro hotel che stava a qualche km. In questo percorso incontriamo più volte le forze dell’ordine, danno a tutti delle indicazioni, ci dicono come muoverci, di non stare fermi in un posto, scappiamo, sì, ma in modo ‘ordinato’, ci dicono di non prendere la metro, di usare vie secondarie, ci calmano e ci tranquillizzano, alcuni agenti ci controllano, ci fanno alzare le mani per vedere se abbiamo armi, stanno ancora cercando gli attentatori. Voglio sottolineare con quale bravura, preparazione, professionalità hanno agito le forze dell’ordine inglesi. Erano numerosissime e disponibili a darci informazioni utili per metterci al sicuro, senza farci prendere dal panico. Ancora non sapevamo esattamente cosa fosse accaduto, lo abbiamo scoperto il giorno dopo, abbiamo chiesto informazioni nella hall dell’hotel e abbiamo chiesto se, visto l’accaduto, fosse più opportuno rimanere in hotel fino al pomeriggio, quando dovevamo prendere il volo per tornare in Italia. Il concierge ha risposto assolutamente ‘no’, ma anzi che Londra ha bisogno di reagire subito. E, nonostante il momento di tristezza, con stupore abbiamo visto nelle strade tantissime persone, gente che passeggiava, che andava nei musei, che cantava… come se niente fosse. Ci è stato spiegato che questo modo di reagire è la risposta di Londra al terrorismo. Al rientro in Italia, non abbiamo potuto fare a meno che confrontare con mio cognato le nostre incredibili ‘avventure’… Ci ha raccontato di Torino, dell’insufficienza di controlli, di mancanza di sicurezza, di incapacità nel gestire una situazione come questa, di carenza di forze dell’ordine, di una folla incontrollabile come un gregge di pecore senza pastore. Questa la sensazione, l’idea che lui mi ha riportato. Perché mi rivolgo alla stampa? Credo ancora nella stampa e attraverso queste pagine voglio trasmettere un messaggio. Quella sera una mamma di Robecco, piccolo paese di provincia, ha passato momenti infernali, era preoccupata per due dei suoi figli che erano a fare dei viaggi di piacere, trasformatisi in terrore. Questo vuol dire che tutti siamo coinvolti, che queste cose possono accadere a tutti, in ogni parte del mondo. Mi è stato detto ‘se foste rimasti a casa, non sarebbe successo nulla’. Ma questo non è vivere, è sopravvivere. Come Londra, dobbiamo andare avanti e rialzarci, ma nello stesso momento essere preparati al peggio. La sensazione di Torino è che eventi di questo tipo ci coglierebbero totalmente impreparati, a differenza di altri Paesi. Voglio fare anche un’altra riflessione, lungi da ogni considerazione politica proprio in questi giorni di elezioni. Credo che l’integrazione e l’accoglienza non siano semplici, non bisogna sottovalutare la questione migranti, alla luce di tutto questo. L’integrazione non è riuscita in nessun modo. Io e mia moglie al momento non abbiamo figli, ma se un giorno mio figlio mi chiederà cosa ho fatto io per il mondo, risponderò che ho raccontato quello che mi è accaduto, nella speranza di rendere migliore il suo futuro. Parlarne al bar e lamentarsi non serve a nulla, Gandhi diceva ‘sii il cambiamento che vuoi nel mondo’, è finito il tempo di dare la colpa ai politici, ognuno deve fare la sua parte. S.O.
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