ABBIATEGRASSO – Le persone affette da demenza, con l’avanzare della malattia, presentano varie difficoltà nei momenti in cui, durante la giornata, si siedono a tavola per assumere del cibo. C’è chi ha problemi di malnutrizione, chi necessita di integratori alimentari, chi presenta disfagia, ovvero difficoltà a coordinare la deglutizione; in questo caso, il cibo può prendere la strada delle vie aeree e provocare una polmonite chimica, non batterica, chiamata “ab ingestis”. C’è poi chi mostra la tendenza a sviluppare durante i pasti comportamenti controproducenti, come il rifiuto del cibo o la sua ricerca spasmodica. “Tutti questi aspetti vanno tenuti presenti – ha spiegato la dott.ssa Silvia Vitali, direttore medico RSA dell’Istituto Golgi, nel secondo incontro del corso di formazione AVO, il 9 settembre scorso – grazie alla collaborazione di diverse figure: la logopedista stabilisce se il meccanismo della deglutizione è corretto o no; il medico con esami del sangue verifica i valori di albumina, linfociti, emoglobina, vitamina B 12, acido folico e valuta i campanelli d’allarme; la dietista controlla l’apporto calorico e le diete particolari”. Il medico ha quindi illustrato, con numerosi esempi e tre casi di degenti seguiti in reparto, una serie di situazioni cui devono porre attenzione le persone che accudiscono i malati di demenza, siano esse i volontari che operano nei reparti degli istituti di cura o i familiari che seguono i propri cari a domicilio. E’ importante curare la masticazione e l’igiene del cavo orale, controllare il buon funzionamento delle protesi e la capacità di deglutire, tenendo presente che, ad es., pastina e minestrina sono più difficili da inghiottire. Occorre concedere ad ognuno il tempo necessario per consumare tutte le portate, considerando che alcuni impiegano anche un’ora o più. Vanno rispettati i gusti alimentari della persona, descritti nella scheda biografica compilata dalla famiglia. Bisogna cercare di porre rimedio alle difficoltà percettive (il malato può non riconoscere il cibo nel piatto o non saperlo portare alla bocca, non riconoscere gli oggetti sul tavolo) allestendo, ad es., una tavola semplificata, con poche stoviglie, piatti e bicchieri colorati su una tovaglia bianca, perché percepiti con più facilità. Importante è anche il modo in cui ci si relaziona: è bene porsi davanti alla persona per incontrare gli occhi, per osservare se deglutisce, se tossisce o no, sorridere, tranquillizzare, accarezzare, creare attorno un contesto calmo. Vanno considerati anche gli aspetti psicologici: l’anziano depresso non mangia molto; va predisposto cibo adeguato e vanno adottate strategie opportune per chi è in fase di wandering; è meglio apparecchiare con una tovaglia simile a quella di casa. Occorre valutare inoltre se la persona assume cibo e calorie sufficienti e fare attenzione a perdite di peso, anche se, soprattutto per il morbo di Alzheimer, in una certa fase, che può durare qualche mese o un anno, il paziente dimagrisce pur mangiando sempre. Si consideri anche il dispendio energetico: ad ogni azione/attività quotidiana (es. bagno, lettura del giornale) deve seguire spesso un momento di riposo. Da tenere presente che tutte le 24 ore possono essere per qualcuno occasioni per mangiare, fare uno spuntino, anche di notte. Importante è anche la postura corretta durante i pasti: con i piedi appoggiati a terra se in carrozzina e il capo diritto, perché la disfagia è sempre in agguato. M.B.
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