ABBIATEGRASSO – L’appuntamento per la terza, e si spera ultima, vaccinazione anti-Covid è fissato per martedì 4 gennaio alle ore 12.20 nel Centro Vaccinale che ha sede nel Quartiere Fiera di Abbiategrasso. Anticipo il pranzo, non volendo presentarmi a digiuno, e arrivo alla struttura verso mezzogiorno, dopo aver attraversato a piedi una città deserta, vista l’ora e la giornata uggiosa. Penso di trovare molte persone in fila davanti a me in attesa di entrare, come era accaduto nei precedenti due appuntamenti, il maggio scorso, per la prima e seconda dose, ma così non è. All’esterno non c’è nessuno, così mi dirigo all’entrata, dove un cartello avvisa di tenere a portata di mano il tesserino sanitario e un volontario chiede se sono in possesso di prenotazione prima di farmi entrare in una grandissima sala, l’ex auditorium della Fiera adattato per l’occasione. Sono invitata a misurare la temperatura corporea davanti all’apposita strumentazione e a disinfettare le mani, prima di passare alla registrazione, mostrando tessera sanitaria e appuntamento registrato sul cellulare. Mi accorgo subito che nel salone, diviso in due parti, sosta in attesa pochissima gente: nella prima parte quattro persone attendono di essere vaccinate, nella seconda una decina fra uomini e donne aspetta di uscire e andarsene a casa. Sono contenta che me la caverò in poco tempo, anche perché lì dentro fa un caldo infernale e io sono troppo coperta a causa dell’intenso freddo che si patisce all’esterno. Mentre penso, una volontaria chiama ad alta voce il mio numero, così mi reco in un piccolo stand, accolta gentilmente da un giovane infermiere che mi rivolge delle domande sul mio stato di salute, mentre una collega scrive al computer, dopo avermi chiesto il tesserino. L’operatrice sanitaria si accorge che mi chiamo Mariagrazia come lei e me lo dice, mentre il simpatico infermiere fa una simpatica battuta: “Bene! Oggi mi trovo fra due Grazie!”. Mi chiede poi quando ho fatto la seconda dose e se da allora ho avuto qualche malore tale da consultare il medico di famiglia. Accertato che non ho avuto problemi, mi dice che mi inoculerà il vaccino Moderna. Quando gli faccio presente che ho sentito di tante persone che sono state male una volta vaccinate con questo tipo di vaccino e che io non posso permettermi di stare molto male, perché collaboro con un giornale che senza di me avrebbe difficoltà a uscire, mi risponde di non preoccuparmi perché con la terza dose si ha una buona copertura, se ho qualche effetto collaterale, devo prendere la Tachipirina e in un paio di giorni sarò ristabilita. Mi inietta quindi il vaccino e mi invita ad aspettare un quarto d’ora nella sala prima di lasciare la struttura. Mi siedo e mi guardo attorno: tutti sono tranquilli, alcuni chiacchierano, altri consultano il cellulare, una donna ha un libro fra le mani e legge. Mi viene l’idea di scattare una foto, nel caso dovesse servirmi per un articolo, chiedo quindi il permesso ad una volontaria, che me lo accorda, scatto la fotografia alla grande sala mezza vuota e, vedendo il giovane infermiere disoccupato, vado a chiedergli come mai c’è così poca gente. Mi risponde che c’è affollamento sia la mattina che il pomeriggio, invece in quella fascia oraria sono tutti a casa a pranzare. E’ lui poi che, curioso, mi domanda su quale argomento ho scritto l’ultimo articolo. Fra una chiacchiera e l’altra, passa il quarto d’ora, non ho sintomi preoccupanti, solo un po’ di male al braccio nel punto dell’inoculazione, così lascio l’Hub dopo solo mezz’ora da quando sono entrata, sperando che questa storia del vaccino sia finita e di non dover tornare tra qualche mese per una quarta dose. M.B.
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