ABBIATEGRASSO – La scorsa settimana ha chiamato la signora P.B. che mi ha chiesto di scrivere quanto, con simpatica verve, mi stava dicendo in dialetto a proposito della caccia. Una lettera pubblicata dal giornale ha provocato la sua appassionata reazione. “Quand’ero bambina e si apriva la caccia era una festa: finalmente si mangiava carne. Erano rare infatti le occasioni in cui la si poteva mettere in tavola, compresi il gatto in salmì o i piccioni che erano considerati una prelibatezza. Certo, oggi è diverso, andiamo al supermercato e troviamo di tutto, già pronto da cucinare. Ma sono carni di animali vissuti in gabbia e alimentati come? Ieri mi han regalato due fagiani che ho appena finito di pulire e che sono molto contenta di mettere in tavola, così come i polli ruspanti che vivono liberi e mangiano più sano prima di finire in pentola. ‘Sun cuntraria anca mi’ a cacciare animali in via di estinzione ma non quelli che continuano a riprodursi e se in sovrannumero fanno solo danni come cinghiali o piccioni. Ga par giusta che i pasarin ma mangien tuta l’insalata che pianti?” La signora Pinuccia aggiunge esempi ed esperienze di vita che fanno comprendere come si sia sempre sentita in armonia con la terra, l’ambiente, le stagioni e anche rispettosa del ciclo di vita degli animali. Destinati per lo più non a morire di vecchiaia ma a finire in pentola e, senza ipocrisia, ‘naturalmente’ nella nostra pancia. E.G.
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