ABBIATEGRASSO – Sei reduce dal prestigioso riconoscimento del David di Donatello come miglior canzone-colonna sonora. Ti aspettavi di vincere?  “Sembra scontato ma no, non me l’aspettavo, tanto che mi sono emozionato davvero quando ho sentito il mio nome. Ringrazierò sempre i Manetti Bros per avermi coinvolto nel loro avvincente film.

Quando hai iniziato, tanti anni fa, avresti mai immaginato un tale successo di critica e di pubblico?  “Allora non mi figuravo che la musica potesse diventare per me un lavoro. L’Italia era molto diversa, in meglio ed in peggio. Sicuramente i risultati raggiunti sono enormi, considerando i generi musicali che caratterizzano la mia produzione artistica, lontanissimi da quelli che compongono il mercato musicale italiano. Infatti la gavetta, ma io lo chiamo ‘percorso’, è stata lunghissima. Sono stato fortunato, ma ho sempre sentito la musica come una parte integrante della mia vita, indipendentemente dal fatto che potesse diventare un lavoro o meno e, ad un certo punto, ho deciso consapevolmente che doveva esserlo”.

Il tuo lavoro cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto? “Mi ha dato soddisfazioni incredibili, moltissimi stimoli; mi ha fatto scoprire tantissimo di me e degli altri, è stato ed è avventuroso e divertente, mi ha portato tante volte in giro facendomi scoprire il mondo e vivere la poesia. Certo mi ha tolto tempo per la vita quotidiana, la famiglia e le amicizie abituali ma, se possibile, ha reso tutto questo ancora più prezioso”.

Sei, senza dubbio, uno dei personaggi più poliedrici della scena artistica attuale. La tua vita professionale è caratterizzata da una continua commistione di generi. Lo stesso Germi (locale aperto a Milano nel 2019) è un esperimento ben riuscito di contaminazione culturale. Che valore ha per te la cultura?  “La cultura è per l’Italia l’unica speranza di avere e mantenere un’identità propria nel futuro neppure tanto prossimo. Non siamo un paese che può competere con i macrosistemi per quel che riguarda la produttività, le materie prime, la manodopera e l’industrializzazione. Le idee sono il nostro bene più prezioso. La cultura in maniera allargata, l’innovazione tecnologica, la ricerca scientifica, l’enogastronomia, il turismo e naturalmente ogni forma d’arte sono quello nel quale dobbiamo investire per avere un futuro e non diventare un paese senza identità, assorbito da un macrosistema, per poi sparire”.

Sei stato il coordinatore artistico dell’ultimo evento di “Open the future, together!” a Matera2019. Cosa pensi della proposta di candidare Abbiategrasso a capitale italiana della cultura?  “Credo che questo territorio abbia delle enormi potenzialità rispetto agli argomenti di cui ho parlato sopra. In particolare la cura e lo sviluppo ulteriore della cultura enogastronomica e il turismo potrebbero davvero rappresentare una svolta nella gestione del nostro territorio, potenzialmente unico, così vicino a Milano, ma ancora così diverso dalle spianate di cemento che hanno ucciso l’hinterland. Un’occasione per il futuro immediato di attirare attività, lavoro, persone senza deturparsi e senza accettare lo sviluppo incontrollato e suicida, con risultati effimeri e solo a breve termine che l’urbanizzazione scellerata ci propone. Chi ama davvero il nostro territorio lo protegge, non lo usa soltanto. Matera è un esempio fantastico di come si è riusciti a dare nuova vita ad una città millenaria, preservandola e rilanciandola, senza violentare la propria vocazione culturale”.

Capitale della cultura si nasce o si diventa?  “Lo si diventa, ma è fondamentale la presenza di un mix composto da volontà politica e orgoglio collettivo”.

Quale pensi sia il percorso che occorra intraprendere per diventarlo?  “E’ necessario generare un cambio di mentalità attraverso un coinvolgimento generale. L’informazione è importantissima. La gente è assorbita da tanti problemi e ha poco tempo. Bisogna riuscire a comunicare capillarmente in modo chiaro, continuo e coerente. Le persone, se adeguatamente informate e coinvolte, rispondono bene”.

Abbiategrasso potrebbe contare anche sulla tua collaborazione? “Certo, ma Abbiategrasso non ha bisogno di pochi grandi eventi o poche persone che facciano cose simboliche. Ha bisogno di risvegliarsi definitivamente e di produrre sempre più cose che partono dalla gente. Questo posto può crescere solo se la spinta viene dalla gente”. 

Come ti immagini o come vorresti che fosse la tua città nel prossimo futuro? “Così com’è, ma più viva e aperta culturalmente. Più vivace e consapevole, meno legata al mito di Milano e con una vita culturale e, conseguentemente, imprenditoriale propria, unica. E’ già successo in passato. Abbiamo avuto persone lungimiranti che, negli anni ‘60 e ‘70, hanno reso Abbiategrasso un polo attrattivo sia commerciale che culturale”.

Ti consideri una persona realizzata? “Come individuo sono molto felice della vita che faccio. Sono grato e contento di essere circondato da persone che mi vogliono bene e mi aiutano e si lasciano aiutare. Come musicista no. Se un artista si sente realizzato significa che è già ‘morto’”.

Grazie Manuel, sei anche candidato ad essere il nostro… ambasciatore culturale! Enrica Galeazzi