ABBIATEGRASSO – Un incrocio tra il teatro dei gesti e quello delle parole. Parole non a caso ma quelle provenienti da lettere di adolescenti che hanno scelto di suicidarsi perché omosessuali. Tutto questo si trova nello spettacolo “La Sirenetta” ideato dalla compagnia teatrale Eco di Fondo ospiti presso il Teatro al Corso, il 5 dicembre, in occasione del primo appuntamento della stagione 2018/19 di Incontroscena organizzata da Teatro dei Navigli. La trama è quella dell’omonima fiaba di Andersen riletta qui come metafora di una condizione sessuale vista come una prigione. Se Ariel pensa che avere le gambe sia l’unico modo per essere amata, qui i ragazzi scelgono il silenzio e la repressione di sé stessi per essere accettati. Avere la coda significa non poter camminare come tutti gli altri e quindi sentire tutto il peso della diversità. Una condizione disarmante per il protagonista (mai definito, ma uno, nessuno e centomila) di cui veniamo a conoscenza tramite un teatro fatto di movimenti che suggerisce senza mai dire e affida a delle esilaranti bambole la narrazione indiretta della storia. Un percorso dall’infanzia all’adolescenza per scoprire la psicologia di un ragazzo che si sente diverso. Una crisi che in quest’età sembra non avere fine, allora la fine la si cerca in altro modo. Ma chi è il colpevole? La famiglia, la società e gli stereotipi che ancora oggi ci legano ad una visione bidimensionale della vita. Allora è questo il momento in cui il teatro deve intervenire, quando diventa un mezzo per accedere ad una terza dimensione, quella umana, fatta di amore puro verso sé stessi. La scenografia fa il resto. Completamente coinvolta, anch’essa diventa una protagonista con cui gli attori interagiscono. Un velo di plastica, giochi di luci e l’acqua fanno entrare in un acquario reale dove chi lo guarda è separato dai protagonisti ma contemporaneamente dentro la loro testa. Gli attori non sono da meno, recitano senza il peso di appartenere ad un determinato genere e sono capaci di trasmettere la libertà di scegliere chi vogliamo essere. Se la tematica del mondo omosessuale può apparire forse datata, non lo è la poetica, grazie alla regia di Giacomo Ferraù che riesce a darle nuova freschezza e una profondità che solo il teatro può dare. Un primo appuntamento decisamente riuscito che merita un pubblico più vasto ma comunque entusiasta. Ilaria Scarcella