ABBIATEGRASSO – Il collettivo abbiatense Picabù, nato nel 2017 dall’aggregazione di singoli e associazioni, cerca di fornire un contributo sociale e culturale tramite la lotta alle narrazioni distorte del fenomeno migratorio.

La massima espressione del loro lavoro è rappresentata dal Picabù festival che, nelle giornate del 22 e del 23 ottobre, ha visto andare in scena la sua quarta edizione. Il fil rouge su cui si sono sviluppati tutti gli incontri del fine settimana è l’effetto che le parole hanno sulla società.

Per la prima volta nel 1920, il giornalista e accademico statunitense Walter Lippmann ha utilizzato il termine “stereotipo” all’interno delle scienze sociali e, sin da subito, ha sottolineato la natura linguistica di questo concetto. Noi tutti ci avvaliamo di visioni stereotipiche della realtà, poiché comprenderla in tutte le sue sfaccettature è pressoché impossibile.

Per questo motivo, è fondamentale che le narrazioni semplificate trasmesse dai media siano quanto più vicine all’evidenza dei fatti e prive di strumentalizzazioni politiche. L’osservazione del panorama politico e mediale ci rivela, però, che le letture distorte sono all’ordine del giorno e che la narrazione dei fenomeni migratori ne è spesso vittima.

All’interno di questo tema si inserisce uno degli incontri di domenica 23, il giornalista e scrittore Duccio Facchini ha presentato il suo libro “Respinti. Le ‘sporche frontiere’ d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo”, scritto a 4 mani con Luca Rondi ed edito dalla casa editrice del periodico per cui lavorano, Altreconomia. Il libro tenta di sondare il tema immigrazione nella sua ampiezza, sottolineando le ipocrisie e le responsabilità delle istituzioni nazionali ed europee. Secondo gli autori, il processo di gestione dei flussi migratori da parte dell’Unione Europea si può condensare in tre assi portanti: l’esternalizzazione delle frontiere, il confinamento delle persone e, infine, il loro respingimento.

Nonostante la diffusione di narrazioni che cercano di dipingere i profughi come un’enorme orda in grado di operare una sostituzione etnica a nostre spese, le persone che riescono a stabilirsi in Europa provenendo da Paesi extra europei sono una minima parte dei cosiddetti migranti forzati che, ad oggi, sono 100 milioni in tutto il mondo. L’UE riesce a confinare la maggior parte di queste persone all’esterno dei confini comunitari pagando altri Paesi per occuparsi dei migranti.

La Turchia, la Libia e la Bosnia Erzegovina rappresentano i tre casi più evidenti di questa dinamica: queste Nazioni ricevono milioni di euro da parte delle istituzioni europee per evitare che i profughi riescano a superare i confini e, quindi, a presentare domanda d’asilo. Le forze dell’ordine utilizzano ogni forma di violenza e di vessazione nei confronti di chi tenta di sconfinare, svelando l’ipocrisia delle istituzioni quando si tratta di difendere i diritti umani.

I pochi “fortunati” che riescono a superare questi ostacoli vengono bloccati all’interno degli hotspot e dei campi profughi, luoghi di detenzione dove i trattamenti riservati non sono di certo migliori. Allo stesso tempo, alcuni Stati come Malta e Cipro vendono la loro cittadinanza a ricchi investitori russi e arabi in cambio di ingenti spese all’interno del loro territorio nazionale. Lo stesso paradosso è applicato nell’accoglienza dei rifugiati Ucraini che, giustamente ricevendo le dovute forme di appoggio, vengono trattati come persone di serie A, rispetto a Siriani, Afgani, Somali e Pakistani trattati come persone di serie B e quindi non meritevoli degli stessi diritti.

In conclusione, relatori e moderatori dell’incontro hanno lasciato spazio a interventi e domande dei presenti, i quali hanno dimostrato volontà di comprendere in profondità le turpi dinamiche che regolano il fenomeno dell’immigrazione. Alessandro Gastaldi