L’evoluzione del sistema sociosanitario voluta da Maroni sta portando ad un indebolimento (anziché ad un potenziamento) dei servizi territoriali, e più in generale del servizio pubblico. Questa riorganizzazione del sistema non solo non riduce le liste d’attesa, ma esclude i territori dalla programmazione dei piani aziendali (Poas). Le “voci” sul depotenziamento dell’ospedale Cantù ormai sono certezze: niente più interventi al femore e reparti sottoutilizzati al fine di consentire lo sviluppo di Legnano e Magenta. E come se non bastasse, per giustificare ai cittadini ogni sciagurata decisione calata dall’alto, viene riproposto il solito ritornello: “Al Cantù manca la Rianimazione!”

Quindi la mancanza della Rianimazione si risolve con la chiusura notturna del Pronto Soccorso? Si risolve con il trasferimento di interi reparti?

Il nostro ospedale è stato soggetto ad un investimento di oltre 20 milioni di euro. Perché non è stata prevista la Rianimazione? È moralmente accettabile spendere 20 milioni di euro di soldi pubblici per avere una “scatola vuota”? Certo la spesa sanitaria va razionalizzata, ma bisogna fare un riordino serio degli azzonamenti degli ospedali. Questa riorganizzazione lascia del tutto inalterata la vecchia cultura gestionale degli sprechi e al contempo crea situazioni paradossali per cui un comune con oltre 32 mila abitanti come Abbiategrasso possa trovarsi con un ospedale non in grado di tutelare la salute dei propri cittadini. La sanità è un diritto universale, ed ora più che mai diventa fondamentale una presa di posizione netta degli enti locali e dei cittadini, ultimo ostacolo a chi vuole rendere la sanità sempre meno democratica e sempre più autoreferenziale e in mano all’economia. Abbiategrasso Bene Comune