ROBECCO S/N – A Robecco sul Naviglio vive una signora che può affermare: “Cento anni fa come oggi sono rimasta orfana di guerra”, probabilmente l’ultima orfana della Grande Guerra ancora vivente nell’Est Ticino. Si tratta di Agnese Ceruti, classe 1913, che nel dicembre scorso ha spento 102 candeline e che ci racconta così la sua storia: “Mio padre, Pipìn Ceruti, abitava nel cortile di via Dugnani e, chiamato al fronte, il 22 gennaio 1916 fu ucciso in un combattimento, lasciando quattro figli, il più grande aveva cinque anni e il più piccolo quattro mesi, e la moglie Marièta Garavaglia che aveva 27 anni e che si dovette adattare a lavorare prima come lavandaia e poi come donna di servizio del dottor De Melgazzi. Non accettò un nuovo matrimonio, che molti le consigliavano per dare sicurezza ai figli ancora piccoli. Mio fratello maggiore Giulìn (Angelo), ogni volta che un pretendente si avvicinava alla madre, le tirava il grembiule dicendole: ‘No, màma, l’é no al nòst pà!’ (‘No, mamma, non è il nostro papà!’). Anche noi bambini dovemmo dare un contributo al nostro mantenimento e io mi recavo spesso con la mamma ad aiutare dal dottore: il mio compito era lavare i piatti (ma non arrivavo nemmeno al lavandino tanto ero piccola) e accudire le figlie. Nel 1924, ricevemmo la notizia che il corpo di nostro padre era stato ritrovato, là dove un commilitone l’aveva seppellito. L’Amministrazione di allora, avvisata, in un primo tempo non si dichiarò disponibile ad accogliere le spoglie del soldato Ceruti Giuseppe, asserendo che le casse comunali non lo permettevano. Si fece avanti allora don Brera, che dichiarò la disponibilità della parrocchia per i funerali e il trasporto di colui che era stato un attivo confratello e catechista. A quel punto il sindaco Meroni diede il proprio assenso. La salma arrivò alla stazione di Magenta, ricevuta con tutti gli onori; fu poi esposta per 8 giorni nella cappella di Villa Gaia, dove molti robecchesi resero omaggio. Si celebrò il funerale il 21 dicembre: fu impressionante per noi figli vedere quella bara avvolta nel tricolore, tra due ali di gente commossa e di fascisti in divisa, al suono malinconico della banda; nessuno di noi avrebbe mai dimenticato quella giornata. Quando mio padre era morto, eravamo troppo piccoli per capire fino in fondo la gravità del momento, ma quel giorno di dicembre ognuno di noi ne ebbe la consapevolezza; e nel contempo fu per noi, in un certo senso, un momento di consolazione, perché per noi era come se fosse tornato il nostro papà che non avevamo conosciuto e che tutti onoravano. A dodici anni fui costretta a iniziare a lavorare, alla filanda Meroni dove si produceva seta, e a 14 cominciai a fare la mondina. ‘Una vita da laurà’, solo di lavoro. Mi commosse l’iniziativa che nel 2008 fu presa dal Comune di Robecco sul Naviglio, nella persona del sindaco Giuseppe Zanoni, e cioè conferirmi una medaglia d’oro quale ultima orfana robecchese della Grande Guerra. Così, il prossimo 22 gennaio, ricorrerà il centesimo anno della morte di mio padre e per me sarà, come ogni anno, un giorno molto triste ma anche di ricordi”.
Enrica Galeazzi