ABBIATEGRASSO – La signora Papetti vede i miei capelli bianchi e mi dice “Diamoci del tu”.
Così mi permetto di chiamarla solo Sandra, questa bella signora gioiosa e brillante che non conosce quella lentezza che caratterizza la vecchiaia, ma si esprime con una parlata schietta associata a espressioni degli occhi e del viso ancora più eloquenti. E mi dice che non ha solo cent’anni, ma cent’anni e sei mesi e mezzo perché, dal giorno del suo ultimo compleanno, si è messa a contare anche i mesi. La incontro a casa sua, ha una felpa rosa e collana con orecchini in parure. Penso che si sia messa in ghingheri perché mi aspettava e invece scopro che ogni giorno sceglie quali orecchini e quale collana abbinare al vestito che decide di mettere e, quando mi mostra il suo guardaroba, capisco perché può cambiarsi quotidianamente. Anche se non esce.
Sandra, ti voglio fare qualche domanda sulla tua vita.
“Dai, la memoria non l’ho ancora persa”.
Brava Sandra, la prima risposta è all’altezza delle aspettative! (Lei ride, e soprattutto con gli occhi).
Cominciamo. Come racconteresti in poche parole Sandra oggi?
“Sono sempre stata molto libera e ancora adesso mi piace essere più indipendente che posso.
Io volevo restare zitella e in quei tempi, se non ti sposavi giovane, a vent’anni incominciavi già a esserlo. Ho finito per sposarmi a 47 anni con Carlo che mi corteggiava da quando, ragazza, lavoravo alla Posta e lui ci veniva per lavoro sempre all’ultimo minuto prima della chiusura e mi raccontava un sacco di scuse. E io gli dicevo ‘Guarda che i busii g’han i gamb curt’.
Ho tenuto duro perché, lo sai che il sole bacia le belle e quelle che vogliono restare zitelle?
La centenaria che sono diventata è una che vuole dire grazie a tutti quelli che mi vogliono bene, che stanno con me a chiacchierare, ma non di pettegolezzi: a me piace parlare di attualità e di politica. Leggo ancora molto e, anche se poi magari mi dimentico qualche cosa, nel momento in cui sto leggendo sono felice”.
Cosa leggi?
“Giornali che mi portano le mie nipoti, tra cui anche L’Eco della città, e libri che mi consigliano. Ho appena finito di leggere una raccolta di vite di santi”.
Tu sei molto religiosa, vero?
“Sì sì. Tutta la mia famiglia era religiosa e mio papà più di tutti. Pensa che andava a piedi a messa in San Pietro partendo da viale Sforza in fondo. Ci andava perché, negli anni Trenta, il parroco era Don Ottavio Paronzini, una persona speciale che ha guarito la mia gemella, ancora bambina, da una malattia che i medici di Milano neanche erano riusciti a capire. E sai come l’ha guarita? Facendola camminare contro corrente nell’acqua della Cardinala per 15 giorni, ogni giorno prima dell’Ave Maria”.
Tu sei esattamente come la tua gemella Cecilia, che non c’è più da un paio di anni. Avete condiviso tante storie? E magari anche qualche fidanzato?
“Io e la Cilia eravamo sempre vestite uguali e nessuno ci riconosceva. Eravamo identiche. A scuola era una pacchia perché rispondeva quella che aveva studiato. Tra di noi ci dicevamo: ‘Chi la sa, la dis’. E a scuola ci siamo andate per un bel po’, abbiamo fatto le Magistrali in collegio dalle Canossiane. Eravamo sette sorelle e ci hanno mandate tutte in collegio. Poi due sono diventate suore e una è stata un’ostetrica che ha fatto nascere tantissimi bambini ad Abbiategrasso. Delle due suore una, suor Prassede, è partita col piroscafo per l’Argentina a 18 anni e là ci ha passato la vita facendo tanto bene”.
E i fidanzati? Tu e la Cilia non vi siete mai divertite a confonderli un po’?
“Nooo, ognuna aveva i suoi”. I suoi o il suo? Sandra ride.
So che hai un rapporto particolare con i morti e hai anche una tua teoria sulla relazione che loro mantengono con noi. Ci racconti?
Inizio sempre la giornata chiacchierando con loro. Ho una mazzetta di fotografie che scorro e mi fermo su ognuna, chiamo il nome e poi dico una cosa diversa a ognuno, qualcosa che mi viene in mente al momento. Alla fine, chiedo che mi diano una mano. Prego sempre anche don Ottavio e, dopo i morti, chiedo aiuto anche al mio Angelo Custode, che è sulle mie spalle sempre. Gli chiedo: ‘Visto che sei sempre con me, fammi andare via dritta’.
Non basta però pregare i morti: bisogna chiamarli per nome perché loro capiscano che abbiamo bisogno che ci aiutino. E funziona!”
Ti piaceva tanto viaggiare. Qual è stato l’ultimo tuo viaggio?
“A novant’anni sono andata in Cina con un viaggio organizzato. Visto che sembravano tutti preoccupati per la mia età, io per tutto il viaggio ho cercato di essere al massimo dell’efficienza: ero tra i primi a presentarmi alla colazione, non mi facevo mai aspettare e quell’unica volta che mi sono persa, in un tempio, sono riuscita a farmi accompagnare all’uscita da un cinese”.
E la vacanza che ti ha divertita di più? Mi hai mostrato quella foto dove eri al mare con tanti amici, tutti con una gonnellina di paglia e una collana di fiori…
“Ah, sì. Eravamo a Rimini e non ho mai riso tanto. Eravamo giovani e belli”.
Tu eri molto bella e lo sei ancora.
“Maledett i me culùr che nascunden i me dulùr”.
Mai sentita questa!
“Vuol dire che anche se sono bianca e rossa, i dolori dell’età ci sono”.
Adesso non ti muovi più tanto…
“È vero ma fino a tre anni fa andavo in palestra a fare la ginnastica dolce, quella organizzata per gli anziani”.
Un suggerimento per chi voglia superare i cento anni in forma come te.
“A una certa età a qualcuno può succedere di farsi un po’ di pipì addosso, ma non c’è età per piangersi addosso. Mai”. “Pupa”
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