ABBIATEGRASSO – Intervistiamo Riccardo Magni, studente magistrale di filologia, letteratura e storia dell’antichità, poeta e referente per la Lombardia del movimento “Rinascimento poetico”.

Il giovane abbiatense Riccardo è soprattutto un cantore della bellezza e dell’amore, uno scampolo della sua poesia basta a rischiarare una giornata. Ha pubblicato di recente quello che definirei un saggio breve esplicativo superbamente argomentato grazie a un’interessante ricerca su come è presentato Eros, dio dell’amore, nella letteratura greca.

Per i greci l’amore è quindi un dio, un dio potente che “scioglie le membra” di ognuno fino a provocare tragedie? “Sin dalla poetessa di Lesbo Saffo, Eros è una forza sconvolgente, devastante che “squassa l’animo come un vento che piomba sulle querce”; è un desiderio umano a cui difficilmente è possibile sottrarsi e che talvolta prende la forma di una vera e propria malattia, la quale rivela i propri sintomi sul corpo dell’amante: il cuore trema, lo sguardo si appanna, la lingua perde la capacità di parola, un tremore scuote tutte le membra. La forza di questa divinità è tale da far perdere all’uomo la ragione, facendolo cadere dal suo statuto di “animale razionale”, per dirla con Aristotele, verso una condizione, appunto, infima e ferina. Ma questo è solo un aspetto della complessa figura di Eros”.

Più tardi però in età classica (tra il 510 e il 323 a.C.) Eros è un dio anche “piacevole”, cantato da poeti e musici che approfondiscono il sentimento dell’amore che, pur essendo Tyrannos per tutti, provoca però in ognuno reazioni diverse, ed è anche fonte di piacere. E’ così? “Esattamente, perché Eros può avere anche la capacità di innalzare l’uomo verso mete ultraterrene. Infatti Platone ci dà un’immagine completamente diversa di Eros. In opere come il Simposio o il Fedro, il filosofo dipinge questo essere divino come un desiderio positivo per gli uomini. Secondo il pensiero platonico, infatti, l’uomo nasce come sospeso tra un sapere perfetto, che solo gli dei possono avere, e un’ignoranza totale: per questo tutti noi siamo filosofi, ossia esseri che amano il sapere e che ad esso sono proiettati. Ma, ci si può chiedere, come può l’uomo giungere al sapere? Proprio attraverso l’Eros, ossia attraverso questo desiderio che, accendendosi, fa sì che ciascuno possa mettersi in cammino per scoprire di più del proprio stare nel mondo. Ma non è tutto, perché l’amore è anche una follia buona donata dagli dei: insomma, quando ci si innamora, il vedere la bellezza della persona amata ci fa trascendere il mondo, mette le ali alla nostra anima, facendola volare verso l’alto. Ma Eros può anche assumere la forma di diletto, di umanissimo piacere che ben si accorda alla spensieratezza della giovane età, oltreché ad ogni altra fase della vita”.

Qual è il rapporto tra Eros e le Muse che ispirano i poeti per celebrare l’amore? “Il rapporto tra Eros e Muse è estremamente interessante. Secondo Platone, l’ispirazione poetica, come l’amore, è un dono divino: il poeta accoglie il respiro delle Muse, parla e pronuncia bellezza attraverso le sue opere, le quali, tuttavia, non possono essere pienamente spiegate, in quanto derivate da zone celesti. Questo valore metafisico della poesia vale per l’età arcaica e classica. Ma le Muse in seguito cambiano: dall’inizio dell’età ellenistica, infatti, esse iniziano a vivere nei libri, cioè in quei manufatti che in questa nuova epoca iniziano a diffondersi sempre di più, custodendo le opere del passato, ispirando i poeti e alimentando la razionalità umana. Le dee, dunque, da promotrici di una sapienza divina e irrazionale, si trasformano in libri promotori di un sapere più umano e razionale, talvolta riuscendo a contrastare anche la passione amorosa: ma, il più delle volte, l’innamorato/poeta/intellettuale è comunque destinato a cedere alla forza irrefrenabile di Eros”.

Eros è un dio perché l’amore ha un potere divino, una forza che può sconvolgere la vita di ciascuno. Ne parlano Platone e Saffo e i molti altri autori greci che citi, l’amore è il motore del mondo, viste le tragedie, i femminicidi in particolare in suo nome, possiamo dire che nulla è cambiato nei secoli? “Studiare l’antico vuol dire confrontarsi con le nostre radici, con un mondo molto distante da noi e allo stesso tempo a noi molto vicino. Tra le pagine di autori vissuti due millenni fa, e anche di più, si possono ritrovare i nostri stessi desideri, le nostre paure, i nostri problemi, le nostre domande sulla vita e sull’universo. Secondo Esiodo, Eros è una forza primigenia che ha generato il mondo, una forza antica quanto l’esistenza del cosmo, una forza non solo umana, ma, appunto, anche cosmica, che unisce e compone; e portare all’unità la propria anima, così come i miliardi di vite che abitano su questo pianeta, non può che essere una cosa buona. Platone lo sapeva bene: per lui, infatti, il Bene è l’Uno. Quelle tragedie, erroneamente definite comunemente ‘d’amore’, che si susseguono da millenni, derivano da un grave errore: considerare amore ciò che amore non è; ciò provoca il fatto che Eros, da sentimento alto, inteso alla maniera platonica, che può dunque portare a un miglioramento della nostra condizione umana, si trasformi improvvisamente in un desiderio deteriore e folle. Infatti l’amore, il vero amore, ritengo debba sapersi coniugare con altre due parole: ‘cura’ nei confronti dell’altra/o e ‘libertà’. Senza queste due cose, quel che viene chiamato amore in realtà non è altro che infimo possesso, che porta ad uno smarrimento dell’essere umano”.

Hai comparato molti testi antichi raccolti nella biblioteca di Alessandria d’Egitto, indaghi i diversi modi in cui i vari autori hanno declinato il rapporto tra Eros e le Muse. Studi e scandagli le sfumature, le citazioni delle fonti sono rigorose, riporti stralci in greco, è un piacere anche ‘estetico’ percepire di avere tra le mani, non solo un’interpretazione ma un filo diretto con gli autori citati, i nostri padri culturali. Nelle tue poesie che parlano d’amore, come rappresenti Eros? “La volontà di riportare le citazioni in greco (comunque tradotte in italiano) è essenziale per la scientificità del testo, ma risponde anche al desiderio di mettere il lettore a confronto con un sistema linguistico diverso, lontano da lui sia spazialmente che temporalmente, avvicinando a questa lingua anche chi ad essa non si è mai accostato. Riguardo invece al mio modo di declinare l’Eros nelle poesie, posso dire che il modo in cui lo rappresento coincide con un amore che nutre l’anima, fa crescere, fa innalzare il pensiero verso nuove mete. Nei miei componimenti riverso sempre ciò che ho appreso dal mondo antico per vederlo in una nuova prospettiva, unito alla lingua che uso ogni giorno e alla mia contemporaneità. Quando scrivo, ritengo di far un piccolo atto d’amore nei confronti della sapienza antica, che tanto mi ha donato, e nei confronti di tutti i luoghi e le persone che amo. Non credo, infatti, che si possa scrivere senza amare”. 

Riccardo Magni Abbiategrasso