ABBIATEGRASSO – La ricerca medico-scientifica non ha ancora trovato farmaci in grado di curare malattie degenerative come demenze e Alzheimer, malattie di fronte alle quali si è, dunque, tentati di dire “non c’è niente da fare”. C’è sempre, invece, qualcosa che si può fare e riguarda un modo diverso, non farmacologico, di aiutare i malati a vivere la loro malattia. Ne ha parlato martedì 15 settembre nella sala conferenze dell’Istituto Golgi il dott. Antonio Guaita, durante un incontro di formazione organizzato dall’AVO. Una delle difficoltà che si incontrano è quella della comunicazione con i malati di demenza, a causa dell’impoverimento del linguaggio e della capacità di comprensione. “In un’era, la nostra, in cui la tecnologia la fa da padrona nel campo delle comunicazioni, occorre recuperare una comunicazione non tecnologica, ma attenta a creare un rapporto umano. Con i nostri ammalati, senza usare parole, già si comunica con l’atteggiamento, ma si può sfruttare anche la comunicazione verbale, tenendo presenti però alcune cose”, ha spiegato il dott. Guaita, elencando quindi una serie di consigli su comportamenti da adottare o da evitare nell’assistenza di un malato di Alzheimer. In queste persone si ha una perdita dell’udito per le frequenze acute; se alziamo troppo la voce, ci facciamo capire meno; usiamo quindi il tono normale della conversazione, ma parlando lentamente e staccando le frasi, che devono essere semplici e brevi, e una parola dall’altra. Rivolgiamo poche domande, non si inizi mai la conversazione con una domanda. Parliamo di un argomento alla volta e stando di fronte, perché si ascolta anche con gli occhi, osservando l’espressione del viso. Facciamo in modo che non ci siano interferenze nell’ambiente attorno, come la tv sempre accesa come rumore di fondo, ci vuole silenzio. Evitiamo di interrompere il paziente, anche se fa fatica a terminare le frasi. Ci vuole pazienza e noi siamo spesso vittime della fretta, mentre è bene fare non solo le cose urgenti, ma anche quelle importanti. Non esiste comunicazione verbale distinta da quella non verbale. Il tono usato è importante perché veicola emozioni: da una parola sbagliata si può tornare indietro, da un tono sbagliato è più difficile. Bisognerebbe imparare dagli attori come si interpreta un ruolo. Studi sulla capacità di capire le emozioni sui volti ci dicono che le espressioni positive sono percepite più delle negative e l’indifferenza è percepita come negativa. La sorriso-terapia è, quindi, fondamentale. La gestualità dev’essere rassicurante: è bene accarezzare, fare massaggi, tenere sottobraccio. Va usata la mediazione degli oggetti per approcciare e relazionarsi, scegliendo l’oggetto giusto a seconda delle persone. La vista nei malati di demenza si modifica parecchio e lo sguardo, con il tempo, tende ad abbassarsi. Vanno utilizzati i contrasti per evidenziare gli oggetti, per differenziarli uno dall’altro. Bisogna fare attenzione all’accostamento dei colori negli arredi: su una tovaglia bianca mettiamo, ad es., piatti colorati. Particolare attenzione va data anche agli spazi della comunicazione, rispettando distanza e vicinanza, a seconda delle situazioni: i letti, ad es., non devono stare troppo vicini; nel fare il bagno, si lavino prima i piedi, non la faccia; il vicinato non dev’essere affollato, ma ricalcare quello di un tempo, quando gli anziani si sedevano sulla porta di casa o nei cortili, a conversare o veder la gente passare. Per le situazioni più gravi la comunicazione diventa sensoriale (uso di musica, luci, tatto, animali) e per le persone allettate la stanza va ripensata come luogo della vita, non solo del riposo. M.B.
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