ABBIATEGRASSO – Un viaggio, spostarsi in un’altra città o in un Paese lontano e poco conosciuto significa nuove scoperte o conferme, percezioni e riflessioni personali che ci fanno evolvere e che andranno a sedimentare tra i nostri ricordi e tra le esperienze a cui attingere in futuro. Anche il mio recente viaggio nel Marocco del sud e nel deserto è stato questo. Il piacere di rivedere Marrakech, la sua medina ovvero il centro storico, scrigno di un’umanità molto varia che si raccoglie in particolare nella vitalissima piazza Djemaa el Fna, patrimonio Unesco, caratterizzata da bancarelle con ogni genere commestibile e non , dove incontri l’incantatore di serpenti e il venditore di denti usati, l’addestratore di scimmie… una piazza che di sera si illumina di mille luci e offre musica e danze diffuse, un rullare all’unisono di diversi tamburi, mentre sorseggi un tè alla menta e lo sguardo spazia rapito a 360 gradi, da una terrazza, sul formicaio che sta di sotto. Ospiti in uno dei molti riad, case con giardino, tra i palmeti di questa città che era meta delle carovane provenienti da est e da sud, che ha visto la vendita all’asta di schiavi, sale e spezie. Una città di oltre 100.000 abitanti, con case del colore dell’argilla ricca di ossido di ferro, muri quindi di colore ocra fatti d’ argilla mista a pietre e paglia. La popolazione, un mosaico tra arabi e berberi delle tribù nomadi che si definiscono “uomini liberi in territorio libero”. Le case e i palazzi non superano i 5 piani, solo il minareto della moschea Koutoubia è più alto e da lì il muezzin scandisce 5 volte al giorno la preghiera islamica. Poco distante il cimitero chiamato “il giardino del silenzio”. Poi la partenza verso il deserto, quello dei nomadi delle tende di lana di dromedari e capre. Si corre, con il minibus guidato magistralmente da Abdul, verso sud, sull’unica strada costruita dalla Legione Straniera nel 1920, sulle orme delle carovane che nell’XI° sec. collegavano al Mali, a oltre 1.600 km di distanza. Sosta ad Ait Ben Haddou, esempio di Kasbah fortificata, con vista sul palmeto, sul deserto di pietre e sui momti dell’Alto Atlante. Si prosegue quindi verso la valle di Daraa, lunga 160 km, fino a Zagara dove sostare per la notte in un meraviglioso riad, accolti dal canto di uno stormo nascosto tra gli alberi del giardino, colorato da accoglienti cuscini da cui apprezzare bellezza e tranquillità. A Zagora la biblioteca coranica del XII° sec. che è anche un luogo di silenzio che accoglie persone fragili e chi ha bisogno di ritrovare sé stesso. Poi una piccola deviazione per sostare nella suggestiva duna di Tinfou, dove fotografare le orme degli scorpioni sulla sabbia, i dromedari accanto ai Touareg, gli ‘uomini blu’. Il viaggio continua macinando parecchi chilometri, accompagnati da immagini sorprendenti, infinite sfumature di colori, si passa da paesaggi lunari con crateri, canyon scavati dall’acqua o forme che sembrano sculture create ad hoc e invece sono il risultato del lavoro millenario del vento. Poi improvvisamente un’oasi in cui si coltivano datteri, grano, hennè, cumino. Poi ancora l’escursione con fuoristrada 4×4, correndo a ziz zag sulla sabbia delle dune di Merzouga nel deserto del Sahara. Intanto nei trasferimenti , Karim la guida locale e Giuseppe il tour leader, si alternano a fornire informazioni preziose. Karim, oltre a descrivere e preparare alla prossima meta parla a lungo del pellegrinaggio alla Mecca che ciascun islamico è tenuto a fare almeno una volta, delle liste d’attesa in ogni Pese arabo, alla Mecca dove si rimane 20 giorni, si prega girando intorno al cubo che contiene il meteorite… Notizie sorprendenti come ‘la scuola mobile’ che raggiunge i ragazzini delle varie tribù che abitano il deserto o la descrizione dei tatuaggi che per le donne sono una sorta di carta d’identità, il colore indaco o il rosso indicano se sono sposate con figli o piuttosto vedove. Ha spiegato che in Marocco velarsi è una scelta. A questo proposito curioso il villaggio attraversato in cui le donne si coprono un occhio solo. Assolutamente vietato fotografarle, contro il malocchio usano il colore bianco e monili in argento di cui il Marocco è ricco, così come di pietre semipreziose quali l’ambra gialla, il quarzo bianco e il turchese. E che dire del fascino della Gola di Tocha, in fondo a una valle piena di palmeraie e villaggi berberi , o dei paesaggi dell’arida valle del Dades, disseminata di villaggi fortificati, ben mimetizzati . Poi la valle delle rose che fioriscono a maggio, filari di cespugli che delimitano proprietà e coltivazioni. E di Quarzazate, città a ridosso del deserto sabbioso con la Kasbah di Taourirt con popolazione al 90% berbera, città oasi grazie alla diga costruita negli anni ’70, e ora è in costruzione una stazione a energia solare che, da sola, fornirà al Marocco il 30% del fabbisogno energetico. Molti gli alberi di acacia e scopri che basta rompere un ramo e usare la resina nel tè per curare problemi renali e che nel deserto non si muore di fame perché il latte di dromedario e un dattero forniscono un pasto completo. Affascinante la visita di un villaggio di terra, solo all’apparenza disabitato, con un pozzo, una sinagoga. E come dimenticare la bellezza dei tappeti che rappresentano la vita in famiglia, ci si mangia e ci si dorme. E il marmo nero con i fossili lasciati dal mare quando si è ritirato … Potrei continuare a oltranza a raccontare e pensare che si tratta del vissuto di una sola settimana, 7 giorni ricchi di novità, spostamenti, incontri, nuove amicizie con i compagni di viaggio, Paola straordinaria fotoreporter, il marito Silvano, Carmen e Giansilvio, Serse, Mara, Gianni, Linda, Giovanni, Giuseppe…con cui scambiare opinioni ed emozioni. Un viatico a cui attingere per superare questo momento di stasi, in cui attivarsi a progettare un futuro ricco anche di nuovi viaggi. Enrica Galeazzi
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