Giovedì 20 aprile a Robecco sul Naviglio, in occasione della presentazione del volume sulla strage nazifascista del 20 e 21 luglio 1944, ho espresso alcune riserve sulla lapide collocata fuori dalla cascina Chiappana e siccome mi è stato chiesto da diversi robecchesi non presenti quella sera di chiarire il mio pensiero al riguardo, lo faccio volentieri approfittando dell’ospitalità di questo giornale. Si resta perplessi passando davanti alla lapide collocata nel 2014 davanti all’ingresso della cascina Chiappana per ricordare l’eccidio compiuto dai tedeschi il 20 luglio 1944: persero la vita i fratelli Luigi e Angelo Valenti e il loro padre Enrico. Il testo dell’epigrafe infatti dice: “Cascina Chiappana, 20 luglio 1944. Perdonare ma non dimenticare (Gianni Maltagliati)”. Non dimenticare cosa? Gli unici dati che veniamo esortati a ricordare sono una data e un nome, che però sono superflui per chi sa della vicenda e fuorvianti per chi non la conosce. Cosa è successo lì il 20 luglio 1944? Qualcuno è entrato in cascina e ha rubato qualcosa al signor Maltagliati (che peraltro non ha mai abitato lì…)?. La frase, che come ho detto nel corso della serata è ovviamente condivisibile nel suo valore universale (anche se nel nostro caso l’invito a perdonare cade nel vuoto perché non viene detto cosa perdonare), non può tuttavia essere considerata una citazione dotata di originalità: non è un copyright di Maltagliati, è usata da secoli anche in letteratura. Perché consegnare alla storia il nome del signor Maltagliati invece che quelli dei tre Valenti? È vero che i loro nomi compaiono nella lapide in piazza, ma i Valenti non sono caduti lì insieme agli altri cinque il 21 luglio 1944 e quindi i loro nomi dove effettivamente furono uccisi non sarebbero un doppione, visto che la lapide alla Chiappana dovrebbe appunto ricordare il loro sacrificio. Con tutto il riguardo dovuto alla memoria del signor Maltagliati, credo che ci sia una graduazione da rispettare invece di dare l’impressione di alludere a una vicenda che solo il signor Maltagliati sembra conoscere e che sembra riguardare solo lui. Insomma: c’è una deformazione tra l’episodio che si vuole ricordare e quanto si induce a ricordare: l’unica cosa che non si dimentica, anzi l’unica che si vuol far ricordare con l’appello a perdonare e a non dimenticare, è il nome del signor Maltagliati con una data che evidentemente dovrebbe riguardarlo per un episodio verosimilmente accaduto lì: un episodio, si ha l’impressione, che per prudenza è meglio soltanto evocare perché forse non si può rendere pubblico (ma che dovrei comunque perdonare). Almeno la parola “eccidio” non ci stava? Ho fatto leggere l’epigrafe a chi non sa nulla dell’eccidio e tutti mi hanno detto di credere che la lapide sia stata collocata lì dal signor Maltagliati per una vicenda tutta sua che, peraltro, essendo taciuta, fa sì che la citazione abbia un suono anche un po’ sinistro (del tipo: “La prima volta si perdona, la seconda si bastona”). Si potrebbe aggiungere che il testo dell’epigrafe manca di adeguata solennità, il che non significa retorica, e che il manufatto ha un aspetto un po’ banale, da cippo chilometrico, quello che più anticamente era detto miliario romano, A proposito di romani, ci hanno lasciato epigrafi che hanno duemila anni e tuttavia il loro messaggio è ancora chiaro per noi e lo sarà sempre. Speriamo che si intervenga, come qualcuno ha proposto, con un pannello esplicativo. Questa mia opinione è stata condivisa con passione e con ulteriori argomenti da un lungo intervento di Elisabetta Bozzi, segretaria dell’ANPI di Magenta: giuro che ho conosciuto la signora quella sera. Ma né la sindaca Barni né il vicesindaco Barenghi, presenti alla serata, hanno ritenuto di esporre le motivazioni che hanno portato la Giunta a quella scelta: anzi, alla fine si sono allontanati senza salutare né i relatori (non lo avevano fatto neanche all’inizio della serata, ma questo è il meno, anche nei confronti di un loro concittadino onorario), ma soprattutto senza aver detto, nel corso di tutta la serata, due parole ai tanti robecchesi (sala piena con persone in piedi) accorsi in municipio per un argomento che più robecchese non si può, visto anche l’invito a “non dimenticare”: e sì che, diciamo così, sindaca e vicesindaco erano a casa loro e quindi con qualche dovere di ospitalità quanto meno verso i loro concittadini, anche considerando che il Comune ha dato il patrocinio alla serata, respingendo tuttavia, senza motivazioni, la richiesta di inserire la serata stessa nel calendario delle manifestazioni per il 25 Aprile (calendario costituito solo dal consueto corteo e da una serata di canti della Resistenza). Per essere più precisi: il Comune, per la Giornata della Memoria, ha invitato i robecchesi alla visione di un film sulla strage nazifascista di Meina, ma poi non li ha invitati alla presentazione di un libro sulla strage nazifascista di Robecco. Se non è paura della verità storica, che cos’è? Cosa c’è che nel libro non va? Non mi sembra che sia fuori tema, anzi mi pare che metta nella condizione di sapere cosa perdonare. Ma, se il libro non li ha convinti, perché dare il patrocinio per la sua presentazione? Ringrazio per l’ospitalità. “Nella foto: l’inaugurazione del cippo nel 2014, presenti la sindaca Fortunata Barni e Angelo Mantegazzini per l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci). Mario Comincini
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