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I veri appassionati di ciclismo amano “i secondi”. Incontro con Giambattista Baronchelli e presentazione del libro a lui dedicato “Dodici secondi”

ABBIATEGRASSO – Martedì sera 22 maggio, presso la Sala Consiliare del Castello di Abbiategrasso, il Comitato Tappa ha regalato agli appassionati di ciclismo un altro incontro affascinante, dopo Vincenzo Nibali, Giambattista Baronchelli. L’occasione è quella della presentazione del libro “Dodici secondi” scritto e dedicato a lui, da parte del suo tifoso, divenuto scrittore, Giancarlo Iannella.
Baronchelli è stato un grandissimo del ciclismo dagli inizi degli anni Settanta al 1989, ha vinto tantissime gare ma il suo nome è spesso legato a sconfitte o “non vittorie “, spesso con troppa superficialità. Durante l’incontro di martedì oltre al sindaco Nai e a rappresentati del Comitato tappa erano presenti anche il giornalista Sergio Meda in veste di moderatore e l’ex ciclista Gianni Bugno. Dopo una breve introduzione del sindaco l’attenzione si è spostata subito alle due ruote.
Iannella ha spiegato le motivazioni che l’hanno spinto a scrivere di Baronchelli, esordire come scrittore e condividere con i lettori il sapore di un ciclismo, sì passato, ma eternamente romantico.
Baronchelli ha esordito leggendo una lettera della nipote che si complimentava per lo scritto e con orgoglio ha ringraziato lo scrittore per il suo affetto e la sua dedizione.
Il libro è composto da varie interviste ai protagonisti di quegli anni, dai campioni ai meno famosi, una panoramica che ad oltre trent’anni di distanza ci racconta un ciclismo epico e spietato.
Il “Tista” così lo chiama anche Bugno, non ha peli sulla lingua, racconta della sua rivalità con Saronni e soprattutto Moser, lui figlio di un ciclismo di vecchia scuola, l’altro il primo ciclista moderno, bravo sui giornali e in televisione, amato e tifato moltissimo, specialmente sulle strade di casa, dove per Baronchelli spesso c’erano sputi e spintoni. Era un tifo calcistico diremmo ora, il rivale era quasi odiato…Moser piaceva molto alla gente e il mondo del ciclismo, sponsor compresi, stavano quindi dalla sua parte, si disegnava il Giro d’Italia in modo che fosse sempre favorevole a Moser, si accorciavano le montagne e si allungavano i km a cronometro, specialità non affine agli scalatori come Baronchelli. Questa la versione del “Tista”, potrebbe sembrare la versione dello sconfitto, ma non è così! Baronchelli ha vinto più di novanta corse, il suo e quello dei suoi ammiratori è il rammarico di chi in un altro contesto avrebbe potuto fare ancora meglio.
Andando avanti nella serata, oltre al periodo di passaggio dal vecchio al nuovo ciclismo, emergono altre motivazioni che non hanno permesso al campione di vincere ancora più corse.
Una è che gli sponsor pretendevano che lui andasse sempre e comunque al Giro, nonostante i percorsi “spianati” per Moser, impedendogli di cimentarsi con continuità al Tour de France, in quegli anni gara molto più adatta alle sue caratteristiche.
Seconda motivazione da lui evidenziata fu quella del passaggio dal dilettantismo al professionismo. Lui, predestinato campione, vincitore del Giro e del Tour per giovani, venne catapultato nel professionismo senza linee guida e un po’ allo sbaraglio. Questa scelta lo accompagnò per i primi anni di carriera, non si costruì attorno a lui un vero e proprio team di persone sportivamente valenti che potessero tutelarlo e difenderlo nel mondo del ciclismo.
Meda e Bugno confermano con eleganza e qualche sorriso la versione colorita di Baronchelli; sembrano assistere all’ennesimo duello tra lui e Moser, capendone la fatica di chi per tante volte e per diversi motivi ha avuto la sensazione di non essersi potuto battere ad armi pari…
Queste le spiegazioni che Baronchelli si dà e ci dà, un campione che tutti sappiamo sarebbe potuto essere ancora più vincete, ma che per colpa di avversari, di “venti contrari”, infortuni e sfortuna, si sente in dovere di intitolare il suo libro con le parole che hanno deciso la sua sconfitta più bella, dodici secondi, ritardo con il quale arrivò secondo al Giro d’Italia del 1974, dietro solo al fenomeno Merckx.  I veri appassionati di ciclismo amano i secondi, i battuti, perché senza di loro non ci sarebbero le imprese dei primi.
Questo sport si è sempre nutrito di dualismi, fa bene al tifo e fa bene al movimento, i media hanno spesso contribuito a questo e forse Baronchelli in corsa avrebbe anche potuto vincer di più, ma è capitato in un momento di passaggio, di cambiamento, durante il quale forse non bastava esser bravi sulla bici, occorreva esserlo anche davanti la stampa, lottare anche sui giornali e davanti le telecamere, sferrare qualche colpo basso per irritare i rivali e questo lui non lo volle mai fare: “Non temevo le gare, ma non sopportavo le bugie degli avversari”… (Foto di A. Varieschi). Luca Cianflone

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