ABBIATENSE – E’ stata accolta come una bella notizia la presenza di un lupo solitario che a quanto pare abita nel Parco del Ticino. La sua presenza è stata documentata dalla scorsa primavera, tra Boffalora e Magenta. Tutto è partito dal ritrovamento di resti di un agnellino, da parte di un pastore, che lo ha poi immortalato con una fototrappola e informato la direzione del Parco che s’è mobilitata per studiarlo. Il ritorno del lupo, in quella che è una riserva dell’Unesco, è indice della straordinaria biodiversità del Parco. Pare che il lupo sia arrivato in Lombardia dall’Appennino ligure, anzi non si esclude che gli esemplari possano essere due, un maschio e una femmina. Grazie alle immagini delle fototrappole sparse sui 110 chilometri del fiume Ticino, per 93 mila ettari di estensione (considerando entrambi i versanti, lombardo e piemontese), si è potuto stabilire che si tratta di un giovane esemplare femmina di lupo italiano. Come ha spiegato Alberto Meriggi, professore associato di Zoologia all’università di Pavia, tra le massime autorità in materia di grandi carnivori, “Sappiamo che è ancora nel parco, che s’è nutrito con cinghiali e ungulati, presenti in modo massiccio nei boschi. Stiamo esaminando i campioni di escrementi e attraverso il Dna potremo sapere di più sulla provenienza, Alpi o Appennini”. La notizia è incredibile perché dal Medioevo non c’è più stato un lupo in pianura, come ha spiegato il direttore del Parco del Ticino Claudio Peja. Non tutti però sono felici di questa scoperta. Il prof. Michele Corti, docente presso l’Università degli Studi di Milano dove insegna Zootecnia di montagna, e in passato consigliere e assessore regionale della Lombardia per la Lega Nord, attraverso un giornale online ha criticato duramente il Parco Ticino per l’entusiasmo. Pubblichiamo alcune parti del suo intervento: “La presenza del lupo nella pianura lombarda è documentata sino ai primi decenni dell’Ottocento. Solo negli anni ’30 di quel secolo il pericolo (non solo per gli animali domestici ma anche per l’uomo) cessò. La scomparsa del lupo nella pianura lombarda fu dovuta a diversi fattori: l’intensificarsi delle cacce organizzate, indette anche nel primo periodo Lombardo-Veneto, ma ancor più dall’erogazione di premi in denaro agli uccisori di lupi e lupicini, alla disponibilità di armi da fuoco più efficienti ma, soprattutto, alla scomparsa dei gradi boschi planiziali. Lo stato moderno (napoleonico prima, Lombardo-Veneto poi) nel mentre si faceva sempre più esigente in termini di fisco e di regole da rispettare da parte dei sudditi, doveva in qualche modo bilanciare la crescente invadenza nella società alleviando elementi di insicurezza, disagio, paura, dimostrando la sua capacità di imporre l’ordine e le leggi e cercando anche di legittimarsi. Brigantaggio, vagabondaggio, epidemie, carestie dovevano essere considerati retaggi del passato che lo stato moderno aveva sconfitto. L’ultima vera carestia in Europa fu quella del 1816 mentre il brigantaggio (nel Lombardo-Veneto) venne eliminato dopo qualche anno. I lupi vennero eliminati in pianura verso il 1830 ma solo prima della grande guerra in montagna. Per le epidemie si dovette aspettare (la ‘spagnola’ colpì duro anche da noi ancora nel 1918). La scomparsa del lupo in montagna dopo 80 anni rispetto alla pianura, non ‘secoli dopo’, come immagina un’opinione disinformata e condizionata da una decennale campagna della lobby del lupo. Quante volte sentiamo dire e leggiamo dai propagandisti della lobby del lupo ‘sono secoli che non viene ucciso un umano in Italia’… In realtà gli storici hanno smascherato da tempo (anche in Italia) le manipolazioni degli esperti ‘scientifici’, di matrice naturalistica, che hanno finto di ignorare quanto scrivevano i naturalisti (più onesti) dei secoli scorsi. Ovvero che i lupi erano un grave pericolo, un incubo che giustificava credente e favole frutto della saggezza popolare (ora censurate e rescritte in nime del politically correct, del pensiero unico buonista-ecoanimalista)”, conclude il prof. Corti.