ABBIATEGRASSO – Lo specialista che mi segue mi raccomanda di farmi immediatamente ricoverare nel reparto di Neurochirurgia di Legnano qualora dovessero comparire determinati sintomi, che potrebbero essere il segnale di una possibile paralisi agli arti inferiori. Sintomi che, un tardo pomeriggio (erano circa le 19.30), mi sembra di percepire. Chiamo il 118, che arriva dopo circa mezz’ora (distanza percorsa: circa 300 metri). Personale gentilissimo e di grande professionalità. Spiego il mio problema e chiedo quindi di essere inviato a Legnano, ma sull’ambulanza apprendo che sto per essere portato al Pronto Soccorso di Abbiategrasso, per disposizioni arrivate non ho capito bene da dove, una sorta di centro di smistamento. Sono passate da poco le ore 20. Senza che nessuno mi visiti o mi chieda alcunché (avevo con me un po’ di documentazione sanitaria), nel Pronto Soccorso vengo lasciato sulla barella col mio problema fin quasi a mezzanotte: visto il tempo di attesa non prevedibile a causa delle urgenze, avrebbero potuto almeno somministrarmi un comunissimo antidolorifico per via intramuscolare, del tipo di quelli che tengo in casa sul comodino. A mezzanotte circa chi mi visita mi chiede: “Ma perché l’hanno portata qui? E’ tutto il giorno che sbagliano a portare qui pazienti. Con questa anamnesi lei ha bisogno urgente di una visita neurochirurgica!”. Già. Devo tuttavia riconoscere che mi è capitata una bravissima persona, che si è fatta carico del mio problema, per come poteva a quell’ora. Vengo dimesso dopo un’iniezione intramuscolare dell’antidolorifico che tengo in casa sul comodino. Ma il mio problema non è solo il dolore.
MAGENTA. Mi attivo per la visita neurochirurgica, ma nel frattempo compaiono ancora quei dannati sintomi che potrebbero portare al peggio. Chiamo il 118, che arriva dopo circa mezz’ora da Magenta. Spiego il mio problema e quindi chiedo di nuovo di essere inviato a Legnano, ma sull’ambulanza apprendo che sto per essere portato al Pronto Soccorso di Magenta (quello di Abbiategrasso nel frattempo è stato chiuso nelle ore notturne), sempre per disposizioni arrivate non ho di nuovo capito bene da dove. Arrivo a Magenta che è quasi la una di notte. Senza che nessuno mi visiti o mi chieda alcunché (avevo sempre con me la documentazione sanitaria), vengo lasciato sulla barella col mio problema per due-tre ore, non posso ricordare con precisione: ho tutto il tempo però di vedere il caos che il personale stenta a gestire: “Avvisate il 118 di non mandare qui più nessuno, non abbiamo più barelle!”, grida un’infermiera, mentre nel localino in cui, appena arrivato, eravamo in quattro, ci ritroviamo in sette, con una ragazza accovacciata a terra, con un ago endovena nel braccio, che ogni tanto sussurra: “E a me no una barella?”: a un certo punto l’abbiamo vista alzarsi e andarsene. Io mi ritrovo a pochi centimetri – le sponde dei letti si toccano – da un paziente che per un’affezione polmonare mi tossisce sul viso in modo ininterrotto tra le scuse della figlia e da una paziente affetta da vomito e dissenteria. Inoltre nel locale c’erano chiare tracce di scarsissima igiene, rilevate non solo da me. Alle 3.30, quando è il mio turno, rifiuto un medicinale stupefacente che, nelle intenzioni dichiarate di chi me lo prescrive girandomi le spalle, dovrebbe farmi sprofondare tra le braccia di Morfeo fino a mattina inoltrata. Un infermiere, impietositosi, si fa autorizzare un’iniezione di quelle che a casa tengo sul comodino ricordato più volte. E adesso chi mi porta a casa? “Può chiamare un taxi da Malpensa, oppure ci sono ambulanze che privatamente fanno questo tipo di trasporto ma a quest’ora non trova nessuno…”. Se fossi ad Abbiategrasso, sarei tentato di tornare a casa a piedi. Mi è restata una curiosità: chi, e con che criterio, ha deciso per due volte di non mandarmi a Legnano, come richiesto da me data la mia patologia certificata, ma, presumibilmente, nel primo Pronto Soccorso disponibile? Lettera firmata