ABBIATEGRASSO – Abbiamo incontrato  gli abbiatensi  Caterina Garofalo e Francesco Gallucci, qualche giorno dopo la fondazione di DIP (Deep Insight Panel) una start-up innovativa, società benefit che ha sede a Bologna. Caterina è abbiatense di adozione da alcuni anni ma è nata ad Alghero e cresciuta a Roma, è un’esperta di comunicazione, di eventi emozionali e di neuromarketing. Ma non basta. E’anche docente all’università IusTo ed è presidente e cofondatrice di Ainem (Associazione Italiana Neuromarketing).  Francesco Gallucci è un abbiatense doc, anche se di lontane origini molisane. E’ uno dei pionieri al mondo del neuromarketing, disciplina che combina il marketing con le neuroscienze, ha lavorato in molte importanti aziende italiane ed estere, ha scritto molti libri sul neuromarketing, insegna al Politecnico di Milano e, insieme a Caterina Garofalo, ha fondato Ainem. Abbiamo chiesto a Caterina e a Francesco di raccontarci come sono arrivati alla decisione di fondare DIP, qual è la visione e di cosa si occupa, chi sono gli altri protagonisti e in cosa consiste l’innovazione che propone. “L’attività di DIP – dichiara Caterina Garofalo – è riassunta nel suo nome, un acronimo che contiene le iniziali di tre parole ‘deep’ (profondo), ‘insight’ (‘informazione illuminante’) e ‘panel’, un campione di 7.500 persone, rappresentativo della popolazione italiana”. DIP, spiega Caterina, è formata da un team di nove professionisti italiani che hanno deciso di riunire le proprie variegate competenze in una compagine del tutto innovativa. DIP è una innovazione assoluta in Italia nel mondo delle ricerche sociologiche e di mercato per due ragioni principali: è un panel di persone, anzi di cervelli, utilizzabile dalle aziende e dai brand per comprendere più in profondità cosa desiderano veramente le persone, e quindi faremo test di prodotto, sondaggi e tutto ciò che fanno i panel di ricerca, utilizzando le metodologie più avanzate nel campo delle ricerche psicometriche, delle neuroscienze e del neuromarketing, e poi ci occuperemo, e questa è una delle novità, delle persone che vi partecipano aiutandoli a migliorare le proprie potenzialità mentali attraverso percorsi di sviluppo del mindset personalizzati. Quali sono i vantaggi per le aziende e i brand? “Le aziende – afferma Francesco Gallucci, direttore scientifico di DIP – sono in difficoltà, lo erano già prima del Covid-19, perché hanno perso il contatto con i loro clienti. Non ne comprendono più le dinamiche e i bisogni, soprattutto quelli profondi. Alcuni studi recenti affermano che oltre il 70% dei nuovi prodotti lanciati in Italia (ma è più o meno lo stesso nel mondo) sono sbagliati e vengono ritirati dal mercato dopo solo 6 mesi. Altrettanto accade per le pubblicità. Eppure altri dati dicono che le aziende investono sempre di più in ricerche di mercati per comprendere i loro clienti”. Come possiamo spiegare questo paradosso? “La spiegazione – continua Francesco Gallucci – è amara e semplice. Il mondo è cambiato e cambierà ancora ma le logiche di marketing e di comunicazione sono ancora quelle del novecento. Faccio un esempio, continuiamo a intervistare i clienti sperando che ci dicano quanto soddisfatti o se compreranno i nostri prodotti. Ma non basta più, le neuroscienze ci dicono che la parte razionale rappresenta meno del 5% delle decisioni, chi decide veramente è la parte inconscia, emozionale che pesa il 95%. Il neuromarketing si occupa di studiare proprio questo 95%, dove troviamo molte risposte utili”. DIP può fornire queste risposte? “Sì certo – dichiara Caterina Garofalo – non solo perché consente di trovare spiegazioni a determinati comportamenti di acquisto e di consumo a livelli molto profondi. Ad esempio, applicando metodologie di indagine psicometriche consolidate, è possibile comprendere le caratteristiche della personalità delle persone intervistate o a quali archetipi appartengono. Dal 2021 saremo in grado di misurare altri parametri più profondi grazie a strumentazioni di neuromarketing quali l’elettroencefalogramma, l’eyetracking o il riconoscimento delle emozioni dalle espressioni del viso”. Queste nuove tecniche di ricerca così profonde non sono invasive e non rischiano di dare alle aziende conoscenze e strumenti per manipolare i consumatori? “Noi crediamo di no – afferma Caterina Garofalo – perché le aziende e la pubblicità oggi stanno mostrando la loro difficoltà nello stare al passo con l’evoluzione delle persone. Partendo dal presupposto che il neuromarketing è soggetto, almeno in Italia, a un rigido codice etico redatto da Ainem che vieta qualunque forma di manipolazione dovremmo chiederci cos’ha fatto il marketing fino ad oggi se non cercare di manipolare le persone, con tecniche a volte raffinate ma spesso grossolane, cosa sta cercando di fare il marketing digitale, comunemente noto come SEO, se non spingere i clienti dentro un imbuto (il funnel) che promette di convertire chiunque in un cliente in 5 passi. DIP aderisce ai principi di Ainem e propone alle aziende con la propria offerta di nuovi strumenti e metodologie di ricerca di condividere un marketing più etico e sostenibile che pone veramente al centro la persona e il proprio cervello, avvertendoli che se non lo faranno in tempi rapidi potrebbero avere brutte sorprese o addirittura scomparire”. Quindi DIP e il neuromarketing potrebbero rappresentare un reale fattore di cambiamento positivo nell’atteggiamento dei brand rispetto al mercato? “Sì certo – continua Francesco Gallucci – d’altra parte proprio loro, insieme alle scuole di alta formazione, agli autori celebrati di marketing, ma anche agli organi di informazione e ai politici, hanno coltivato per decenni l’idea che i consumatori, i loro bisogni e i mercati fossero i loro territori di caccia. Se consideriamo, ad esempio, alcune parole chiave utilizzate dal marketing potremmo renderci conto dei modelli mentali improntati all’aggressività e alla violenza che si nasconde di esse”. Qualche esempio? Continuiamo ad usare la parola consumatore (retaggio di una cultura consumistica figlia del mondo a stelle e strisce) invece di persona o cliente. E poi le aziende continuano a parlare di conquista di nuovi mercati, di aggredire la concorrenza, colpire il target, vincere le sfide. Nella realtà, grazie al web, è ormai sempre più il cliente a decidere da chi comprare e lo fa rapidamente grazie al proprio smartphone. Siamo convinti che per cambiare atteggiamento si debba cominciare dalle parole cui seguiranno i fatti. Proponiamo, anzi, di abolire il linguaggio militaresco di marketing già a partire dalle scuole, dove si insegnano i rudimenti del marketing. Noi lo stiamo già facendo, infatti non usiamo più la parola consumatore ma persona o tutt’al più cliente”.   E.G.