Ci sentiamo tutti reduci, frastornati, shoccati come chi torna da una guerra, dalle immagini che ci si ripresentano: persone che urlano e corrono sulla Promenade des Anglais a cercare la salvezza poi il silenzio e la fissità della morte. Un colpo al cuore, tristezza, rabbia e orgoglio. “La rabbia e l’orgoglio” titolava dopo l’11 settembre Oriana Fallaci, che metteva in guardia, che gridava, da inviata in tante guerre, che di guerra si trattava. La stessa rabbia, lo stesso orgoglio che prova chi è reduce di un dolore simile a quello di chi vede sterminata la sua famiglia, magari per errore, da un drone che lascia nella polvere del deserto donne e bambini afgani, di cui non abbiamo immagini perché nessun reporter è sul posto e i nostri cuori non soffrono e rimangono indifferenti alla notizia. Ci chiediamo perché non proviamo lo stesso sdegno? Perché oscilliamo tra reazioni diametralmente opposte? Dalla richiesta impellente di sopraffare con le armi e sterminare chi è causa di tanto male, alla riconosciuta necessità di ridurre fino a sterminare invece..le armi. Senza le armi quante morti si sarebbero evitate? Impossibile contarle, impossibile contare le guerre, Crociate, Hiroshima, Vietnam, curdi, stragi nei college, in casa… Un elenco interminabile che porta fino a un camion bianco da 19 tonnellate, un’arma micidiale, inaspettata, senza esplosivo ma che schiaccia, falcia, guidata da un uomo che non risparmia nessuno, la salvezza dipenderà solo dalla sorte, dal ‘destino’. Un uomo con moglie e tre figli, una famiglia che aveva già perso, un uomo votato alla morte, già perso dai suoi fallimenti e dalla sua infelicità, che trova un obiettivo, a cui viene fornito un alibi da una religione che si presta a interpretazioni di morte. La propria morte che diventa un nobile sacrificio che porta in paradiso se stermina quanti più infedeli possibile. Un paradiso opposto a quello promesso solo a chi fa del bene al suo prossimo. Un camion bianco che ha cambiato ulteriormente la guerra, un’arma inaspettata, diversa, a cui è seguito l’appello ad usare anche la propria auto per sterminare gli infedeli. Un’arma a disposizione di tutti, un appello che ci fa sentire tutti sempre più in pericolo. Basterà un momento di fragilità, di infelicità personale, di depressione per usare questo alibi, per agire la propria rabbia e decidere di andarsene trascinando con sé tanti altri, quanti più, meglio è? Come possiamo evitare di arrivare a un malessere così profondo, senza speranza per noi e per gli altri? Possiamo fare qualcosa per un maggior benessere per chi ci sta intorno, si possono fare scelte economiche, politiche, religiose per una vita più dignitosa per tutti? Chi è felice non si uccide e non uccide, non sceglie la morte ma la vita. Enrica Galeazzi