ABBIATEGRASSO – Non è Abbiatense doc perché è nato in Trentino, ma si sente “adottato” e figlio quasi legittimo di Bià.

Quando, qualche anno fa, ho deciso di iscrivermi a un corso che Luigi Paoli teneva all’Università del tempo libero (tiene corsi da vent’anni) è stato un giorno fortunato perché, dall’amicizia nata, con lui e altri amici, l’anno scorso ho fatto un gran bel giro della Cina, di Hong Kong e Macao, con lui che ci ha guidati, lui che nientemeno ha pubblicato diverse guide di questi paesi.

Ma Luigi è una persona ricca di risvolti non comuni.

Non sei più quello che si dice un ragazzo ma sei iscritto alla facoltà di Archeologia dell’Università Cattolica e stai per laurearti. Ci racconti la condivisione con i tuoi compagni di corso?

“Andato in pensione, vicino ai settant’anni sono diventato la più vecchia matricola della facoltà. Che bella scelta ho fatto! Ho dato spazio a un desiderio che avevo nel cuore da tutta la vita e sono circondato da giovani che mi coinvolgono e che mi caricano di motivazione, entusiasmo ed energia. Io, nei giovani, ci credo davvero e voglio ringraziare in particolare alcune giovani colleghe di corso che mi hanno adottato nel loro gruppo di studio”.

Nella tua… vita precedente (precedente la pensione!) hai avuto una carriera importante e complessa: sempre in giro per il mondo! Quali terre e quali esperienze ti hanno lasciato segni forti?

“Per lavoro ho davvero girato tutto il mondo, ma quando ho potuto scegliere ho scelto di lavorare in Asia e in particolare in Cina. Le esperienze più forti le ho fatte in Tibet, un paese di una religiosità ‘diffusa’ e vissuta sinceramente, non una fede penitenziale ma gioiosa: oltre ai monaci che colorano il paesaggio di arancione, giri per la strada e vedi persone che, a ogni passo si inginocchiano e appoggiano la fronte per terra per pregare. Oppure camminano facendo roteare “la preghiera rotante”: una copia in piccolo di quella grande che si trova nei templi, un cilindro alto un metro, tutto istoriato, che, facendolo girare, porta al cielo le tue preghiere. Il mio Tibet però oggi è cambiato, sta diventando sempre più cinese, l’ambiente si è modernizzato nelle costruzioni e la burocrazia è diventata pesante: permessi per ogni cosa. Io prima andavo dove volevo e come volevo. Adesso c’è la Cina che, anche se sta aprendosi e in qualche modo concede al Tibet la sua religiosità, non gli concederebbe mai la sua indipendenza”.

Tu sei religioso?

“Credo in Dio ma studio la storia delle religioni più con la testa che con l’anima. Per me è uno studio antropologico: solo comprendendo l’uomo si arriva a Dio”.

Il nostro viaggio insieme in Cina mi ha lasciato un piacevole ricordo dei Cinesi, persone gentili e disponibili. Ti ricordi quella volta che, non sapendo spiegarci dove era la stazione, due ragazze si sono fatte forse tre chilometri quasi di corsa per accompagnarci? Tu cosa ne pensi?

“Penso anch’io che lo siano e la cosa più bella è che hanno un rapporto di grande rispetto reciproco. Quelle ragazze non si sono comportate così con noi solo perché eravamo stranieri. Inoltre, sono un popolo fortemente nazionalista: per loro non ci sarebbe bisogno di un regime, di un governo duro, perché hanno dentro l’idea che ‘se siamo uniti siamo forti’. È la vera definizione del comunismo. E anche se sono nazionalisti, il populismo da loro non attacca: non serve, hanno dentro i principi del rigore taoista”.

Quando abbiamo visto insieme l’Esercito di Terracotta tu dicevi che ti sarebbe piaciuto fare parte della squadra che lavorava al recupero di quel patrimonio grandioso. Quali progetti hai oggi?

“Tutti gli archeologi vorrebbero fare parte di una “squadra che scopre”, ma a settant’anni è difficile. Dopo la laurea vedrò quali opportunità mi potrà offrire l’Università. La Facoltà è in contatto con tantissimi siti, da Pompei a Populonia per restare in Italia, e se ne aprono continuamente di nuovi nel mondo. Vedremo”.

Nella posizione di “uno che sa leggere nella storia”, come vedi il futuro?

“Io sono un grande ottimista e conto sui giovani che sapranno liberarsi dai cliché della mia generazione, che ritengo sia stata capace solo di desiderare il benessere materiale e sembra che in questa direzione abbia anche educato i giovani. Ma loro sapranno liberarsi: il consumismo non può e non deve essere un dio”.

Se non avessi fatto il tuo lavoro quale lavoro ti sarebbe piaciuto fare?

“Ho avuto un’insegnante che è stata una grande mentore. Era la contessa Giulia Marzotto Valdettaro, la più grande sinologa italiana (Credo sia stata lei a trasmettermi l’attrazione fatale per la Cina.)

Quello che mi ha lasciato questa grande donna è sintetizzabile così: ‘Quello che sai non devi tenertelo per te. Devi condividerlo con chi non ha avuto la fortuna di imparare quello che hai imparato tu’. È per questo che penso che avrei dovuto fare l’insegnante, ma mi sto consolando tenendo i corsi alla UTL e come relatore a diverse conferenze”. Non mi resta nient’ altro da aggiungere. La ricchezza di Luigi è emersa dalle sue parole. “Pupa” Foi