ABBIATENSE – Grande serata con lo chef  stellato vegetariano per eccellenza, ovvero Pietro Leeman, e  con lo storico Mario Comincini.  Tema: il riso e la sua storia, una storia che si intreccia con quella del nostro territorio. Il riso, un prodotto che conosciamo bene, perché fa parte della tradizione culinaria lombarda e che ora  conosciamo ancora meglio grazie ai racconti di giovedì sera, 14 giugno, a Morimondo. Abbiamo chiesto a Comincini di riassumerci il suo intervento. “L’introduzione della coltivazione del riso nel Milanese – ci racconta lo storico – viene attribuita per tradizione agli Sforza, e in particolare a Galeazzo Maria, per un documento del 1475 che attesta il dono di 12 sacchi del cereale da parte del duca agli Estensi. In realtà ci sono documenti più antichi, da cui risulta che il riso cominciò a essere coltivato non per graziosa concessione ducale ma per un motivo economico: una pertica (circa 650 mq) a riso dava un raccolto che era il quadruplo rispetto a una pertica a frumento. Allora il riso era infatti considerato cereale da pane, veniva cioè macinato per essere ridotto in farina”. Da quando il riso cominciò a essere coltivato nella nostra zona? “Soprattutto nel territorio tra Abbiategrasso e Gaggiano, alla fine del Quattrocento, si ebbe la prima e più significativa diffusione di questa nuova coltivazione, facilitata dalla disponibilità di acqua. Le rogge derivate dal Naviglio Grande, tra Abbiategrasso e Gaggiano, passarono da cinque nel 1476 a quindici nel 1498, in pratica una ogni 500 metri, ed esistono ancora oggi. Il Rosatese, da allora, acquisì un primato nel Milanese che avrebbe mantenuto nei secoli successivi. Precoce fu la diffusione del riso anche nel territorio attorno a Morimondo, favorita dal terreno acquitrinoso, e nella valle del Ticino presso Besate come ad esempio attorno alla cascina Caremma, favorita invece dalle risorgive”. E’ vero che un tempo la monda del riso veniva effettuata da uomini? “Certo, fino al Seicento, poi furono utilizzate le donne perché il salario femminile spesso non raggiungeva la metà di quello degli uomini, impiegati invece nella mietitura. Ma si fornirono spiegazioni bizzarre: che le donne, “per la complessione speciale dei loro corpi”, resistevano di più a stare curve per lunghe ore, che la loro corporatura più piccola rovinava meno le pianticelle di riso, che la mondatura richiedeva più destrezza che forza e altre amenità del genere”. E.G.