“Allah è grande, Gheddafi è il suo profeta”. Nel punk violento e sincopato dei CCCP, guidati dall’eclettico reggiano Giovanni Lindo Ferretti, il gruppo invoca, mentre si perdeva ad Istanbul, il nome del Mu’ammar. Per l’esattezza: Mu’ammar Muhammad Abu Minyar ‘Abd al-Salam al-Qadhdhafi. Era il 1985 allora Bettino Craxi e i carabinieri italiani misero in scacco Ronald Regan e i militari della Delta Force, maledetta sovranità che non tornerà. Un’epoca ormai lontana, eravamo crocevia del Mediterraneo, Mare Nostrum come ai tempi della spada dell’Islam conferita nel 1938 a Benito Mussolini, portaerei privilegiata per storia e prestigio nel dominio di quel valico che collega Europa ed Africa. Italia e Medio Oriente. Un valore ancestrale, innato ed immutabile, che solo il lassismo della politica nostrana ha permesso potesse crollare. Dobbiamo ringraziare la Francia di Bernard-Henri Lévy che nel 2011 ci impose la linea da seguire. In pratica prendere uno dei nostri partner commerciale prediletto ed infierire su di esso. Abbiamo avuto gioco facile, nella Libia divisa in tribù dove i soldi dell’Occidente sono merce di scambio gradita. Nel 2009 Gheddafi tenne all’Assemblea delle Nazioni Unite il 23 settembre 2009 un discorso, per certi versi profetico, che ha anticipato la realtà dei fatti. Leggiamone un estratto: “Se un Paese, la Libia per esempio, decidesse di aggredire la Francia, allora l’intera Organizzazione risponderebbe perché la Francia è uno Stato sovrano membro delle Nazioni Unite e noi tutti condividiamo la responsabilità collettiva di proteggere la sovranità di tutte le nazioni. Tuttavia 65 guerre di aggressione hanno avuto luogo senza che le Nazioni Unite facessero nulla per prevenirle. Altre otto enormi e feroci guerre, le cui vittime ammontano a circa 2 milioni, sono state intraprese dagli Stati membri che godono di poteri di veto”. Avevano bisogno di rendere la Libia una polveriera come i Balcani negli anni ’90. “Sfondo bianco e pulito”, per tornare alle parole di Ferretti, una coscienza, quella putrida dell’economia europea, da bagnare con il sangue di Paesi sovrani. Sovvertire ogni legge, ogni legge della natura e degli uomini, perché il sultano danaro chiama all’appello e pretende sacrifici umani su sacrifici umani. “C’era una volta la Libia di Gheddafi: certo non un modello di diritti civili, certo uno Stato con le sue complessità, ma comunque pacificato e in ordine con i suoi equilibri tribali. Poi ai libici abbiamo portato la democrazia: da allora, l’area è diventata non solo un crocevia per terroristi, predoni, briganti e trafficanti, ma ha subito anche una regressione tribale che mette spavento. Lo testimonia la recente, assurda ‘guerra della scimmia’. Accade nella zona di Sebha, una importante città del sud della Libia, a circa 700 chilometri da Tripoli nel deserto verso Niger e Ciad”. Questo scriveva Il Primato Nazionale lo scorso 22 novembre. Una nazione nell’oblio, il senso della storia che si perde, si ferma fino a svanire. Mentre noi dobbiamo raccogliere le briciole e ringraziare la voce del padrone. Massimo Fini, all’indomani dell’uccisione de Il Colonello, commentò così la vicenda: “Ma credo che ci siano due ragioni, una era la ferocia belluina di questi pseudorivoluzionari libici, l’altra è che comunque l’Occidente non poteva permettersi un processo a Gheddafi perché sarebbero venute fuori tutta una serie di corresponsabilità, soprattutto negli ultimi dieci anni”. Il Giornale, alcuni giorni fa, sulle sue colonne rifletteva dello squilibrio che ha colpito il mondo negli ultimi sei anni. “Ora che la strage di Manchester ha messo in luce un filo rosso che la collega a Tripoli e che mette in relazione il kamikaze Abedi con il network jihadista di Al Qaeda, il dubbio che qualche errore (almeno di miopia) sia stato commesso riaffiora. Anche il ministro dell’Interno, Marco Minniti, è stato esplicito: ‘Emerge per la prima volta un link diretto con la Libia’. Nel marzo 2015 l’allora ministro degli Esteri sentenziava: ‘La Libia è il focolaio del terrorismo’. Adesso, tutti a dire che bisogna intervenire lì, non solo contro la piaga del terrorismo, ma anche contro l’invasione di migranti”. Abbiamo sbagliato, per codardia, per pavidità, per incapacità politica ed ora paghiamo il prezzo più alto. Siamo pedine al centro del bersaglio, i colpi arrivano da ogni parte e siamo incapaci di rispondere come un pugile suonate adagiato sulle corde. I pugni si frantumano sul nostro costato, sul nostro volto e aprono ferite curate con ulteriori colpi. Un gioco al massacro che ci vede chiedere più accoglienza davanti alla carneficina. Ed allora ci vengono in aiuto le parole dell’arcivescovo emerito della diocesi di Ferrara-Comacchio, Luigi Negri: “Io spero che almeno qualcuno di questi guru – culturali, politici e religiosi – in questa situazione trattenga le parole e non ci investa con i soliti discorsi per dire che ‘non è una guerra di religione’, che ‘la religione per sua natura è aperta al dialogo e alla comprensione’. Ecco, io mi auguro che ci sia un momento silenzioso di rispetto. Innanzitutto per le vostre vite falciate dall’odio del demonio, ma anche per la verità. Perché gli adulti dovrebbero innanzitutto avere rispetto per la verità. Possono non servirla ma devono averne rispetto”. Bisogna guardare in faccia la realtà questa è una guerra religiosa. “Se non aiutate la Libia, voi avrete Al Qaeda a 50 km dai confini dell’Europa”. Le sillabe di Gheddafi riecheggiano a Manchester, Parigi, Nizza, Berlino, Londra e in tutte quelle cattedrali nel deserto della società multirazziale. Cancri di un modo divenuto materialismo stratificato sul nulla. Bisogna riconoscere, allora, la lungimiranza che ebbe Silvio Berlusconi capace di tessere rapporti ed amicizie, figlie del colonialismo di inizio novecento. Un’era di sbarchi nulli e di mare calmo, mentre oggi le onde sono burrascose e 200.000 immigrati, negli ultimi 12 mesi, varcano la porta di Lampedusa per depredare l’Europa. Cellule terroristiche, cellule cancerose che si annidano sottopelle, mentre i politicanti da strapazzo, pronipoti di Baumann e della società liquida, corrono verso il proprio carnefice in cerca di una benedizione che non arriverà. Oswald Spengler scrisse: “Essi oggi discutono – riferito ai popoli europei, ndr – mentre ieri comandavano, e domani dovranno pregare per poter discutere”. Tremenda fine, in preda alle convulsioni economiche delle cooperative e all’informazione distorta che ci chiede di accettare la nostra fine. Ed allora ridateci Gheddafi. Andrea Pasini