L'eco della città

Lettera/ Mi ci potevo tuffare dal balcone di casa…

Mi è sempre piaciuta l’acqua e mi ha sempre fatto paura.

A Houston, avevo solo tre anni quando mio padre mi aspettava in fondo al lato corto della piscina di casa. Io arrivavo nuotando a fatica, con l’eccitazione e l’orgoglio che hanno gli occhi treenni quando compiono prodigi come attraversare due metri d’acqua prima di farsi abbracciare dalle braccia forti del proprio padre. A sette anni, ad Albano Laziale, mi sono iscritta a un corso di nuoto. Due mesi. Troppe otiti. E il ricordo di una me urlante a bordo vasca perché non volevo essere buttata in acqua da un’insegnante di nuoto tanto paziente e per niente intenzionata ad affogarmi.

Paura dei tuffi. Fobia del colpo di testa. Amavo l’acqua ma non la piscina.

Da miope, senza occhiali, avevo fatto mio questo motto: “In piscina sono tutte cuffie che si muovono e odore di cloro. Non ci si distingue”.

Poi, dopo un’estate al mare e lezioni di nuoto amatoriali, il mio (allora) ragazzo mi ha detto “Iscriviamoci a un corso”.

Lui ha sempre amato nuotare ed è molto bravo.

Io andavo sott’acqua tappandomi il naso con una mano mentre nuotavo a rana con l’altra e mi sentivo una sirenetta. Ci ho messo un mese e mezzo a decidermi. Un giorno gli ho detto: “Ok, andiamo a chiedere informazioni”.

E diciamolo. Abitiamo a dieci metri dall’ “Anna Frank”. Come dice Claudia “Dovreste venire in piscina in accappatoio e ciabatte” e sì, questo è un grande rimpianto.

Avremmo dovuto farlo. Almeno una volta. Entriamo. Ed è subito odio, odore di cloro e occhiali appannati. Gli dico: “Amore, iscriviamoci ora o non tornerò mai più”.

E così, ci iscriviamo. Il primo anno sono rimasta in prima corsia, con pochi altri compagni di fatica.

Marco, il mio istruttore, mi prende in carico. Con la pazienza di un monaco zen mi insegna la tecnica e mette a freno la mia voglia di andar di fretta per recuperare gli anni persi.

“Anna Frank” diventa un luogo di incontro e di amicizia.

Io imparo, miglioro, faccio pace con il cloro e le cuffie.

Persino gli occhialini appannati non mi danno più così fastidio. (No, ammettiamolo con quelli non si può proprio fare pace). Il secondo anno sono in corsia con mio marito e con il resto del gruppo di belle persone che sono diventate la famigerata squadra “Rana gialla”. Tra un allenamento e una pizza si condividono pezzi, nascono legami e ci si tiene in forma (forse).

“Anna Frank” oggi non c’è più. E io penso alla mia storia.

Alle giornate di nuoto in compagnia, ai miei allenamenti da sola, alle 90 vasche all’ora che per me sono state meglio che la scalata dell’Everest, allo staff e ai miei istruttori che adesso si devono reinventare una strada. Penso a noi che oggi ogni lunedì e giovedì giriamo una piscina diversa e ci alleniamo insieme per non perdere il gruppo e per capire dove andare.

Ma penso soprattutto che la mia è solo una delle tante storie di crescita che sono nate e si sono sviluppate in questa piscina. E mi dico che la comunità ha perso più di un semplice luogo di allenamento. La comunità ha perso un luogo di incontro per le persone, ha cancellato milioni di nuove storie. Tania Paradiso, Abbiategrasso

 

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