ABBIATEGRASSO – Signor Alessandro… “Per favore, mi chiami signor Manzoni.”
Avevo letto che Natalia Ginzburg aveva detto di lui che era un uomo dal carattere strano, tortuoso e complesso, che odiava la folla e il cinguettio degli uccelli e che balbettava. Avrei dovuto capirlo subito che ci teneva al distacco. Gran brutta figura, tanto per cominciare.
Mi scusi, signor Manzoni, la disturbo perché cerco una testimonianza seria sull’epidemia di peste del ‘600, di cui lei ben conosce gli eventi. È perché ci siamo in mezzo anche noi. Oggi non è peste, ma è brutta assai.
“Mi dica…”
Lei non può conoscere Don Palestra che, nella sua “Storia di Abbiategrasso”, a proposito della peste nella nostra città nel 600, scrive: “le autorità locali, il clero, i frati, le confraternite si prodigano nell’assistenza materiale e spirituale alla popolazione afflitta da sì grave sciagura… Si costruì pure un lazzaretto per isolare i contagiosi, formato da misere gabane di legno e paglia… Era naturale che il popolo atterrito da sì grave flagello e privo di mezzi sanitari efficaci si rivolgesse a Dio e alla intercessione dei Santi perché cessasse la peste…” (Da “Storia di Abbiategrasso, di A. Palestra” 1961, pag. 91).
“Ma… vuole parlare solo lei o vuole far parlare me? Per dirlo sic et simpliciter!” (Ancora una pessima figura).
Mi scusi ancora. Parto subito con le domande. Vede affinità tra la nostra pandemia e la peste del ‘600?
“Come posso fare paragoni se io non ci sono più dal 22 maggio 1873? Ho fatto ricerche su ciò che è stato e tutto sta scritto nei Promessi Sposi. Sarà lei a cogliere se ci sono affinità. Veda dal cap. 31 in avanti”.
È inutile. Intervistare una tale autorità mi imbarazza e continuo a fare figuracce.
Vado a prendere il testo (Gremese Editore Roma- 1962) su cui ho studiato io e mia figlia (si capisce dalla grafia degli appunti) e la prima domanda a cui il testo del Manzoni risponde è: C’erano anche allora i negazionisti?
“Un commissario e un medico visitarono Lecco e Bellano. Tutt’e due, per ignoranza o per altro, si lasciarono persuadere da un vecchio et ignorante barbiero di Bellano, che quella sorte de mali non era Peste; ma in alcuni luoghi, effetto consueto dell’emanazioni autunnali delle paludi, e negli altri, effetto de’ disagi e degli strapazzi sofferti, nel passaggio degli alemanni. Una tale assicurazione fu riportata al tribunale, il quale pare che ne mettesse il cuore in pace” (Cap. 31/ riga78).
Ci fu qualcosa di simile al nostro lockdown?
“Per tutto trovarono paesi chiusi da cancelli all’entrature, altri quasi deserti e gli abitanti scappati e attendati alla campagna, o dispersi” (Cap. 31/91).
Ci fu qualcuno che propose strani farmaci, come oggi? Uno per tutti la candeggina da bere o iniettarsi proposta da Trump.
“Ci parevano tante creature selvatiche portando in mano chi l’herba menta, chi la ruta, chi il rosmarino et chi una ampolla d’aceto” (Cap. 31/93).
Furono proposti “DPCM” per il contenimento?
“Il tribunale della sanità si dispose a prescriver le bullette, per chiuder fuori dalla Città le persone provenienti da paesi dove il contagio s’era manifestato” (Cap. 31/99).
(In Abbiategrasso le quattro porte vennero presidiate per impedire l’accesso ai forestieri e a Porta Milano si controllava che ogni viandante fosse munito della bolletta di sanità: certificato emesso dall’autorità di sanità, attestante che il suo latore proveniva da luogo non infetto, permettendo l’accesso a borghi e città).
Ci furono proteste?
“Siccome a ogni scoperta che gli riuscisse fare, il tribunale ordinava di bruciar robe, metteva in sequestro case, mandava famiglie al lazzaretto, così è facile argomentare quanta dovesse essere contro di esso l’ira e la mormorazione del pubblico… persuasi com’eran tutti che fossero vessazioni senza motivo, e senza costrutto. L’odio principale cadeva sui due medici a tal segno che ormai non potevano attraversar le piazze senza essere assaliti da parolacce, quando non eran sassi.” (Cap. 31/233).
Ci furono anche allora eroi, come i nostri medici e infermieri?
“E perciò l’opera e il cuore di que’ frati meritano che se ne faccia memoria, con ammirazione, con tenerezza, con quella specie di gratitudine che è dovuta, come in solido, per i gran servizi resi da uomini a uomini, e più dovuta a quelli che non se la propongono per ricompensa.” (Cap. 31/355).
Ci dà un consiglio?
“Si potrebbe, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare. Ma parlare è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire.” (Cap. 31/523). (L’intervista integrale sul sito www.ecodellacitta.it). “Pupa” Foi