L'eco della città

Il racconto di chi è sopravvissuto ai lager

ABBIATEGRASSO – Si è concluso venerdì 26 febbraio il programma delle iniziative per le scuole nell’ambito del progetto “Per non Dimenticare” indetto dall’assessorato alle politiche educative. Nell’aula magna degli istituti Alessandrini e Bachelet, gli studenti delle quinte, presenti anche l’assessore Cameroni e alcuni rappresentanti dell’ANPI di Abbiategrasso, hanno ascoltato Giuseppe “Pucci” Paleari e Venanzio “Giba” Gibillini quali testimoni della storia dei reduci dai campi di concentramento. L’appuntamento annuale con gli studenti di Abbiategrasso è una consuetudine che si protrae da molti anni grazie all’instancabile forza di Giba, classe 1924, con ancora tanta voglia di raccontare alle giovani generazioni l’inferno dei campi di concentramento, e di Pucci al quale dobbiamo la realizzazione di un archivio storico con interviste e documentazioni sulla deportazione nazista nei campi di sterminio. L’incontro è iniziato ricordando la figura del nostro concittadino Pierino Trezzi, anch’egli ex deportato, che ci ha tristemente lasciati qualche anno fa. Giba è stato arrestato il 4 luglio del 1944 a 19 anni, la stessa età degli studenti presenti ad ascoltarlo, perché dissidente politico, e dopo essere stato in prigione a San Vittore fu inviato nei lager, prima quello di Bolzano, poi Flossenburg e successivamente a Dachau. Giba era già soldato nella fanteria, ma dopo la caduta del fascismo abbandonò le armi, come fecero tanti altri ragazzi, per non aderire alla Repubblica di Salò, venendo così considerato disertore. Giba restò in carcere, nella cella 62 per ben 22 giorni e conobbe Franz, “il terrore di San Vittore”, noto per la sua crudeltà e le umiliazioni che imponeva ai detenuti. Nel periodo in cui era detenuto, più precisamente il 10 agosto 1944, 15 prigionieri furono fucilati in piazzale Loreto, ma fortunatamente a Giba non toccò la stessa sorte. Lui riusciva ad essere al corrente dei fatti esterni grazie a dei bigliettini che gli venivano recapitati in cella e che doveva inghiottire dopo averli letti. L’aiuto dall’esterno era presente e importante. Trascorsi i 22 giorni venne interrogato sugli atti di sabotaggio del deposito ferroviario di Greco. Venne poi portato al campo di Bolzano insieme ai detenuti del 5° e del 6° raggio dove rimase fino al 5 settembre con il numero 3111. Il treno li aspettava: “Il viaggio è terribile, è dove inizia l’umiliazione, eravamo trattati come bestie. Eravamo tutti stretti l’uno contro l’altro, i bisogni li facevamo in un angolo del treno e quindi ci stringevamo, così come per lasciare spazio ai più anziani per distendersi; più si andava avanti, più eravamo stretti”. Il treno si fermò a Flossenburg, dove vengono fatti scendere e condotti in una tendopoli dove rimasero completamente nudi per essere depilati. A quei tempi il pudore era molto forte. Rimanere nudi e senza più un pelo era una grande umiliazione. In pochi minuti hanno perso la dignità e rimasero solo delle “bestie impaurite”. La rasatura della testa era diversa per italiani e russi, gli veniva fatta una particolare linea sul capo perché venissero identificati come i peggiori del campo (poiché traditori della precedente guerra). Dopo la doccia gli consegnarono degli abiti riciclati dai forni crematori con il triangolo rosso dei dissidenti politici e la sigla IT. Il suo numero in quel campo era il 21626. Tra il 18-20 ottobre cercavano dei meccanici specialisti da introdurre in una azienda di armi a Kottern, sottocampo di Dachau. Riuscì ad essere preso: numero 116361. Era vitale sapere il proprio numero a memoria, e in tutte lingue: non solo i tedeschi facevano l’appello, a volte anche francesi, slavi, russi… mentre lavorava in fabbrica riuscì a costruirsi un cucchiaio con dei pezzi di metallo trovati, nel manico c’era la scritta Milano (era un pezzo di scarto), dall’altra incise la scritta “MAMMA”. Quel cucchiaio diventò il suo tesoro, se i tedeschi l’avessero trovato l’avrebbero impiccato perché “gli aveva rubato forza lavoro”. Quando la guerra finì Venanzio fece ritorno casa: era il 27 maggio 1945. Lui fu uno dei 4.500 italiani sopravvissuto alla brutalità dei lager. Per 20 anni Giba non è riuscito a raccontare la sua storia, e solo molto tempo dopo ha trovato la forza per narrare ai ragazzi delle scuole come è riuscito a sopravvivere a tanta brutalità. Giba ha compiuto i suoi 20 anni in un campo di concentramento ma i suoi occhi azzurri profondi e vispi lasciano ancora intravedere lo spirito di quel ragazzo. Grazie a Pucci sentiremo ancora tanto parlare di questi eroi dei giorni nostri; la sua accurata ricerca e il suo modo di raccontare che cattura sguardi e menti sono un prezioso tesoro che dobbiamo coltivare “Per non Dimenticare”. (Foto A. Artusa, Archivio comunale). Naomi Contiero

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