ABBIATENSE – Pierluca Oldani succede ad Arcangelo Ceretti come fiduciario della Condotta dell’Abbiatense e del Magentino, una delle 1.500 Condotte dell’associazione Slow Food, sparse nel mondo. Partita da Bra 30 anni fa, da un’idea del padre fondatore Carlo Petrini che ne ha sintetizzato la filosofia coniando il famoso motto “buono, pulito, giusto”, ha raggiunto non solo la vicina Svizzera o il Regno Unito, ma molti Paesi ovunque, anche dall’altra parte del mondo, fino in Australia. Nasce come risposta al fast food e intende promuovere innanzitutto il diritto al piacere del cibo e della convivialità. Non cibo qualsiasi ma ‘buono,’ di qualità, ‘pulito’ per la nostra salute spesso messa a rischio da produzioni industriali con conservanti e altro finalizzato solo al profitto, ‘giusto’ nel riconoscere il valore di chi fatica e lavora in agricoltura, divulga e difende le tradizioni, ridà dignità e recupera produzioni uniche e tipiche di un territorio. Iniziamo a chiedere a Pierluca Oldani, che è anche sindaco di Casorezzo, di presentarsi e di raccontarci il suo percorso con Slow Food, cosa comporta essere fiduciario, quali progetti ha in cantiere per la Condotta.
“Oltre ad essere sindaco di Casorezzo, eletto nel 2014 con una lista civica, per lavoro mi occupo di radar. Ho iniziato fin da subito a seguire Slow Food, ma non mi sono associato subito: ho preferito valutare bene e approfondire ogni aspetto di quanto veniva proposto; dapprima mi interessava soltanto l’aspetto conviviale, poi, negli anni, a questo si è aggiunta la consapevolezza che, quella proposta da Slow Food, è una buona strada per costruire un insieme armonico amalgamando l’umanità col resto del pianeta. Da circa un mese sono stato nominato fiduciario della Condotta di Abbiategrasso e Magenta, sto raccogliendo disponibilità e idee dai soci, stiamo mettendo a punto incontri formativi e informativi, momenti conviviali e altre iniziative per valorizzare prodotti, aziende e il meglio del nostro territorio da ogni punto di vista”.
Un’associazione molto cresciuta in questi 30 anni e ideatrice di tanti progetti, quali i più importanti?
“Molti i progetti realizzati: l’Università di Scienze Gastronomiche, fondata nel 2004 per promuovere la cultura del cibo o l’incontro delle ‘Comunità del cibo’, noto come Terra Madre che ha riunito a Torino contadini, pescatori, allevatori, agricoltori provenienti da tutto il mondo. La difesa della biodiversità ossia della grande varietà di organismi viventi, degli ecosistemi, in difesa delle specie in estinzione, una minaccia alla biodiversità. Slow Food è anche un’importante fonte di informazione tramite guide, saggi, e una rivista dedicata al meglio dell’enogastronomia mondiale. Non bisogna certo dimenticare uno dei più importanti progetti, quello dedicato ai Presidi, per il recupero e la tutela di produzioni particolari che non hanno nulla a che fare con l’agricoltura industriale e che vengono ‘certificati’ da un comitato scientifico Slow Food secondo criteri rigorosi oltre a quelli previsti IGP e DOP. Ogni Condotta poi partecipa a varie iniziative tese a dimostrare che si può fare una spesa sostenibile e mangiare bene spendendo comunque poco, scegliendo prodotti stagionali, a Km zero”.
Quanti sono i soci della Condotta?
“Ad oggi sono 55, ma abbiamo ricevuto anche ulteriori richieste di iscrizione”.
Perché ha senso 30 anni dopo associarsi ancora a Slow Food?
“Perché oggi abbiamo tutte le conoscenze necessarie per capire che questa è la strada giusta da seguire: quella del diritto al piacere, al gusto, alla convivialità. E perché sappiamo che, per ottenere questi diritti, sono necessari un ambiente e un territorio sani e valorizzati, risorse maggiormente distribuite e non concentrate nelle mani di pochi, una maggior consapevolezza e responsabilizzazione. E finora solo Slow Food ha saputo individuare il modo per ottenere tutto ciò”.
Perché il cibo è cultura?
“Perché gran parte di ciò che sappiamo e ciò che siamo deriva da quello che mangiamo. Pensiamo alla cosa più semplice: un panino col salame e un bicchiere di vino. Per ottenere il pane è necessario saper coltivare, ottenere un terreno adatto e curarlo, lasciare al grano il tempo necessario per maturare; ciò significa che occorrono persone che vi si dedichino, pertanto non devono essere impegnate in altre attività, come guerre o altre stupidaggini. Lo stesso si può dire per la coltivazione della vite, che gli umani hanno saputo trasformare da pianta infestante in una bevanda da consumare in compagnia, raccontandosi storie e avventure, insomma tramandando la celeberrima tradizione orale. Il salame poi rappresenta la volontà di trasformare un prodotto deperibile in qualcosa di più duraturo, utile per superare i mesi invernali o da portare in viaggio. Conoscenze e costumi: la cultura si forma così. E, studiando i popoli della Terra, spesso si scopre che la vera diversità, quindi la ricchezza, sta in ciò che mangiano”. Enrica Galeazzi