ABBIATEGRASSO – Avevamo annunciato che avremmo cercato e riportato altri aneddoti e curiosità sulla bicicletta, la “star” del momento, soprattutto nella nostra città, sede di partenza di una tappa del Giro d’Italia 2018 il prossimo 24 maggio. Abbiamo chiesto a Mario Comincini se c’è qualche episodio nella storia di Abbiategrasso che la vide protagonista. “Possiamo ricordare la vicenda di don Giuseppe Reina, coadiutore della parrocchia di S. Pietro – ci dice lo storico – che nel 1899, invece del cavallo, cominciò a usare la bicicletta per visitare gli ammalati e per portare il viatico ai moribondi. Saputolo, il cardinale Ferrari glielo proibì nonostante il parroco Paronzini lo avesse pregato di tollerarla”. In diverse parti del mondo i sacerdoti avevano cominciato a usare la “macchina veloce” per l’attività pastorale: negli Stati Uniti si fondò un “Clerical Cycle Club”. A Milano invece, nel 1892, la Curia ne vietò l’uso perché sarebbe stato indecoroso “ammirare un sacerdote far capriole comiche per salire su di una bicicletta da laico, e quindi innanzi, dopo salito in sella, proseguire in goffa forma colla talar sottana a cavalcioni del telaio. Il prete ha bisogno di compostezza onde non offendere l’estetica e la decenza. A tale scopo fu ideato il ciclo Levita: un facsimile del veloce da signora, una vera seggiola ruotante, senza ingombri metallici davanti, alla quale si accede anteriormente. Il sacerdote vi siede composto, la sua veste discende naturalmente lungo le gambe e le copre, le pedivelle sono corte e basse, in modo che il movimento delle gambe è minimo e, sostando, i piedi toccano il terreno. I regolamenti ecclesiastici vietano assolutamente ai preti il vestire ogni abito che non sia il sacerdotale, con sottana lunga, e quindi ogni velocipede il quale non permetta di portare compostamente la veste non può essere atto allo scopo”. L’associazione dei Velocipedisti Italiani ne discusse al suo primo congresso – continua Comincini – e tentò inutilmente di far cambiare idea alla Curia, che tuttavia, siccome le richieste di singoli sacerdoti aumentavano, chiese un parere a Roma, alla Suprema Congregazione della Disciplina Ecclesiastica, la quale rispose: “Non sunt inquietandi”, cioè vanno lasciati in pace i sacerdoti che usano la bicicletta. In un primo tempo la Curia milanese tenne segreta questa indicazione, poi un po’ cedette prevedendo eccezioni solo a seguito di domanda scritta e purché si usasse il “bicicletto Levita”. Da tempo alcuni sacerdoti della nostra zona usavano la bicicletta per il loro ministero: don Mascheroni di Castelletto di Abbiategrasso, don Adrasti di Vermezzo, don Cozzi di Corbetta. Don Tragella di Magenta, in un primo tempo contrario, ne divenne uno dei maggiori sostenitori dopo essere stato circondato da preti e parroci in bicicletta durante i funerali di Mac Mahon a Parigi. “Poi i tempi – conclude Comincini – sarebbero mutati anche da noi: dopo pochi anni gli abbiatensi avrebbero visto don Paronzini al volante di una delle prime automobili sulle strade delle nostre campagne”. Storie che non sembrano vere, se non ci fossero i documenti a darne testimonianza. Oggi un prete in bicicletta lo facciamo diventare un divo, come il don Matteo della TV. Enrica Galeazzi