L'eco della città

E ai bambini chi ci pensa?

ABBIATEGRASSO – Bambini ignorati dai tanti decreti e non presi in considerazione sembra, neanche per la fase 2. Se le scuole non riaprono, i genitori tornano al lavoro, i nonni non li possono avvicinare, loro con chi rimangono? Cosa provano? Non ci sono piani condivisi su niente, tantomeno per la riapertura delle scuole o dei parchi, che rimangono chiusi, mentre i bambini sono chiusi in casa, chiusi in pochi metri. Si pensa a contingentare gli ingressi ovunque ma non per i bambini. Chi pensa a loro? Questa la sintesi delle domande e riflessioni che ci pervengono.  A proposito di bambini, pubblichiamo il seguente  interessante intervento della consigliera comunale Graziella Cameroni.

“Da persona che ha passato una vita nel mondo della scuola, ma anche da mamma e nonna, sento il bisogno di condividere una riflessione amara di questi giorni e lo faccio nella speranza che ne possa nascere un’occasione di confronto costruttivo. Da quando è esplosa la pandemia da coronavirus, tutti i mezzi di comunicazione mettono legittimamente al primo posto informazioni, confronti fra posizioni scientifiche e politiche diverse, news e fake news sul tema, riflessioni su risvolti della globalizzazione finora inimmaginabili. Al centro il virus e le conoscenze, già acquisite o ancora da acquisire, per poterlo contrastare, lo stato d’avanzamento nel mettere a punto farmaci e vaccini efficaci.  Si discute ovviamente degli effetti devastanti sull’economia e ci si chiede se e quando sarà possibile tornare ad una vita ‘normale’. Premetto che sono a favore delle misure fin qui adottate e auspico da parte di tutti la massima responsabilità nel non abbassare la guardia in questo momento delicato. Viene da chiedersi, però, se non si stiano trascurando i risvolti psicologici sulle persone, le difficoltà enormi connesse ad una vita di privazioni e di isolamento alla quale siamo poco abituati, una vita che per molti comporta un rapporto stretto con familiari con i quali non c’è armonia o addirittura c’è tensione e violenza. Ma un altro aspetto mi sembra altrettanto grave: non si parla delle ripercussioni sui nostri bambini e ragazzi che, in base alla diversa età, stanno affrontando le loro fatiche e rischiano di ritrovarsi segnati a vita. Quando si diventa adulti capita di dimenticare le fatiche del crescere, gli stati d’animo, a volte di sofferenza, che accompagnano ogni momento di passaggio da un’età all’altra, da un ciclo di scuola al successivo. Si è portati a pensare che infanzia e adolescenza siano momenti della vita facili e giocosi e che i problemi reali appartengano solo al mondo degli adulti. Ma cosa significa oggi per un bambino piccolo, abituato a conoscere attraverso il contatto fisico, non poterlo più praticare, non poter abbracciare un compagno e rotolarsi per terra con lui, non lavorare e giocare insieme a scuola o al parco, non potersi far coccolare dai nonni, se non addirittura perderli proprio in questo difficile frangente? Improvvisamente la loro routine è saltata e i più piccoli faticano a capirne il senso, si sentono giustamente spaesati. Per alcuni finirà tristemente un percorso scolastico senza neppure un momento di saluto con amici e insegnanti con cui hanno condiviso esperienze fondamentali per la loro crescita e la scoperta di un mondo al di fuori della loro famiglia in cui poter vivere bene, rapportarsi con altri, imparare mille cose. Cosa significa per un adolescente, alle prese con il primo vero distacco dalla famiglia, con la proiezione verso una dimensione più ampia, trovarsi gomito a gomito, 24 ore su 24, con i genitori, magari in uno spazio ristretto che non consente neppure un briciolo di privacy, neppure una telefonata libera e indisturbata con gli amici? E per diversi di loro vivere in una dolorosa clausura popolata dalle tensioni fra e con gli adulti?

Si parla tanto della scuola che deve continuare il suo programma a distanza, e questo è giusto per non interrompere, almeno per quanto è possibile, il percorso di apprendimento e per consolidare strategie didattiche che nel tempo sono state poco praticate, ma che hanno in sè ottime potenzialità.

Ma cosa ne è del percorso educativo in questo momento? Stiamo parlando di un percorso che prevede una condizione imprescindibile: stare con i propri coetanei e con adulti diversi dai propri familiari, lavorare insieme sulla consapevolezza dei problemi propri e degli altri, confrontarsi, condividere tutto, anche la gioia e la tristezza.

Quale traccia resterà in loro se non avranno l’opportunità di proseguire questo percorso?

Come possono gli adulti vicini farsi carico del loro bisogno e aiutarli, con la necessaria discrezione, a vivere questo momento senza smettere di crescere? Come sopperire alla mancanza di socialità e di relazionalità con i coetanei? Come far sentire che si è loro alleati in questa guerra spietata? Infine come stimolarli a costruire quella fiducia nel futuro che consente di progettare il proprio cambiamento?  Anche di questo, oltre alle vicende politiche, alla ricerca scientifica, alle scelte economiche, vorrei sentir parlare, nei talk show e sui giornali, da pediatri, psicologi, pedagogisti, sociologi perché è importante sapere come indossare una mascherina e lavarsi adeguatamente le mani, ma altrettanto avere una cassetta degli attrezzi rifornita di tutti gli strumenti educativi per poter affrontare, con i nostri bambini e ragazzi, la malattia del loro crescere in questo momento.

Fortunatamente il virus pare risparmiarli, ma non dimentichiamo che, accanto a persone fragili per età e patologie, abbiamo bambini e ragazzi altrettanto fragili perché ancora in fase di formazione.

Graziella Cameroni”.

 

 

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